Rassegna di articoli riguardanti
Pio XII
e la diplomazia Vaticana
PIO XII e gli ebrei, tutte le ragioni di
quel silenzio
Un saggio dello storico Renato
Moro affronta il controverso atteggiamento del Vaticano durante
la Shoah, ma rifiuta la logica del processo.
"Papa Pacelli temeva
che una protesta pubblica avrebbe peggiorato la situazione
dei perseguitati"
di Giovanni Belardelli
(dal Corriere della Sera del 18 maggio 2002)
Si discute da decenni dell'atteggiamento tenuto
dalla Chiesa nei confronti dello sterminio degli ebrei, e
in particolare del fatto che Pio XII evitò di pronunciare
una solenne condanna del nazismo. Ma la discussione non è
mai riuscita a liberarsi da un impianto sostanzialmente accusatorio,
cioè dalla tendenza a condannare Pio XII, addirittura
accusandolo di qualche simpatia per il nazismo, o alternativamente
ad assolverlo sulla base di valutazioni e giudizi non privi
di toni apologetici. L'intera questione è ora riesaminata
in un bel libro di Renato Moro (edito da II Mulino) che parte
proprio dalla necessità di rifiutare la logica del
processo. Lo storico, scrive l'autore, non deve stabilire
cosa si sarebbe dovuto fare; il suo dovere è «cercare
di comprendere motivi, ragionamenti, mentalità, condizionamenti
oggettivi e soggettivi che hanno spinto a comportarsi in un
certo modo». Al riguardo non va dimenticato anzitutto
che il «silenzio» di Pio XII di fronte allo sterminio
degli ebrei fu il risultato di un comportamento assunto in
modo consapevole. Il pontefice riteneva infatti che cauti
passi diplomatici avrebbero potuto strappare qualche risultato
positivo. mentre ogni pubblica protesta avrebbe peggiorato
la situazione dei perseguitati. A spingerlo in questa direzione
concorreva la sua formazione giuridica, che lo induceva a
sopravvalutare la portata dei mezzi diplomatici. Inizialmente
ci fu anche una sottovalutazione di ciò che stava avvenendo
agli ebrei d'Europa, sottovalutazione che era del resto comune
all'opinione pubblica dei Paesi democratici. Non si trattava
solo di carenza di informazioni. ma anche quando queste
dal '42 cominciarono a testimoniare di un vero e proprio sterminio
della difficoltà a credere davvero alla realtà
di un fatto inaudito e inimmaginabile. L'atteggiamento tenuto
dalla Chiesa nei confronti dell'Olocausto fu però il
risultato di un insieme di motivazioni diverse. Così,
la prudenza adottata dal Papa dipese anche dalla paura che,
mentre si profilava la sconfitta di Hitler, una condanna potesse
essere considerata dai cattolici tedeschi come un tradimento,
come una sorta di pugnalata alle spalle. Inoltre, quando infuriava
a est lo scontro fra Germania e Urss, la Santa Sede era paralizzata
dal timore che una condanna della dittatura di Hitler potesse
favorire la dittatura di Stalin. Soprattutto, nel libro si
insiste sul peso avuto dalla tradizione dell'antisemitismo
cattolico. Moro parla di antisemitismo cattolico, e non solo
di antigiudaismo, perché ricorda in modo convincente
come non si trattasse più soltanto dell'antica ostilità
religiosa verso gli ebrei. Tra fine '800 e inizio '900 si
era infatti diffuso, anche in ampi settori del mondo cattolico,
un antisemitismo a sfondo politico e sociale. Gli ebrei apparivano
come la quintessenza di una modernità che si presentava
con il volto minaccioso della scristianizzazione. In questa
prospettiva, sentendosi minacciata, la Chiesa era portata
a considerare in modo almeno in parte positivo la stessa legislazione
contro gli ebrei introdotta negli anni '30 da alcune dittature.
Anche se, naturalmente, considerava leggi del genere come
un modo per separare gli ebrei dai cattolici, non certo per
compiere atti di violenza ai loro danni. Insomma, non va dimenticato
che a quell'epoca i cattolici vedevano generalmente negli
ebrei, scrive Moro, non gli «antenati della loro fede,
ma i nemici della loro religione». Ancora nell'agosto
1943, caduto Mussolini, il Vaticano intervenne presso Badoglio
perché si modificassero le leggi razziali del fascismo
in quelle parti che contraddicevano la dottrina cattolica
(ad esempio il divieto dei matrimoni tra cattolici ed ebrei
convertiti), senza però abrogarle poiché contenevano
alcune disposizioni «meritevoli di conferma».
Fu anche a causa di questi pregiudizi nei confronti dell'ebraismo
che la Chiesa trovò inizialmente difficile capire la
radicale novità rappresentata dall'antisemitismo nazista,
che non voleva soltanto tenere a distanza gli ebrei ma mirava
a sterminarli. E' innegabile che molti cattolici, in tutta
Europa, si prodigarono nell'aiutare gli ebrei anche senza
una pubblica e solenne condanna papale del nazismo. Tuttavia,
se questa condanna vi fosse stata, conclude Moro, avrebbe
spinto il mondo cattolico a mobilitarsi nella sua generalità,
ciò che invece non avvenne. Una simile condanna sarebbe
stata particolarmente rilevante per quei paesi come
la Germania in cui più pesava la tradizione
del pregiudizio antiebraico. Pio XII scelse la linea del silenzio,
non senza incertezze e sofferenza interiore, convinto anche
che i rischi di una denuncia dall'alto della cattedra di Pietro
avrebbero potuto provocare risultati ancora peggiori. Tuttavia
il peggio, per gli ebrei d'Europa, era già arrivato.
II libro di Renato Moro «La Chiesa
e lo sterminio degli ebrei», è edito da II Mulino,
pagine 208, euro 12
Hitler ordinò: "Uccidete Pio
XII"
di Luigi Sugliano (da
La Stampa del 15 aprile 1993)
ROMA. Anno 1943, missione segreta: "Tentare
un massacro in Vaticano e uccidere il Papa, Pio XII".
Obiettivo: "Far ricadere la responsabilità della
strage sui partigiani e gli alleati". Questo ordine,
che esce dal segreto degli archivi, ha una firma: Hitler.
Cinquant'anni dopo il drammatico 1943 ecco un documento segretissimo
sul folle piano del dittatore nazista. Lo pubblica il settimanale
"Gente" in edicola sabato. Secondo quanto riferisce
"Gente" il piano prevedeva l'assalto al Vaticano
da parte di reparti delle SS che indossavano uniformi italiane.
Questi reparti erano destinati ad essere a loro volta annientati
da altri militari germanici. Non ci dovevano essere ne superstiti
ne testimoni. "Nel caso che il Papa fosse sfuggito al
massacro - scrive Gente - il progetto prevedeva il suo trasferimento
in Germania, come ostaggio". Il documento con le rivelazioni
è datato 26 settembre 1944 ed è firmato da Paolo
Porta, il federale di Como fucilato a Dongo, sul lago di Como,
assieme ad altri gerarchi che accompagnavano Mussolini in
fuga. E' rivela Gente, che ne è entrato in possesso
su carta intestata dell'Undicesima Brigata nera "Redini"
di Como. Il documento era in possesso di un ex comandante
partigiano, Giacinto Lazzarini, morto tre anni fa. Gli era
stato affidato dal Governo militare alleato della Provincia
di Varese. Un documento rimasto segreto, destinato a far discutere.
Lo storico Antonio Spinosa, ad esempio, lo conlesta. Dice;
"Queste rivelazioni sono smentite dalla logica della
storia. I fatti verificati sono questi: esisteva un piano
per deportare il Papa. Hitler, alla fine del '43, ne parlò
con Karl Wolff, capo delle SS in Italia. U piano di Hitler
era duplice: impossessarsi dei tesori del Vaticano ed eventualmente
deportare il Papa e una parte del suo clero. Ma Wolff prese
tempo, disse che entrambi i piani erano di difficile realizzazione,
che non aveva gli uomini adatti per l'impresa". Ancora
Spinosa: "Hitler si irritò. E alcuni giorni dopo
richiamò Woolf nella "tana del lupo". Wolf
fece presente a Hitler la situazione italiana: Mussolini era
caduto e nessuno in Italia lo avrebbe difeso. E la Chiesa
era l'unico incontrastato potere esistente. Perché
dunque bisogna deportare il Papa? Forse per farne ricadere
la colpa sugli alleati. E' questo l'unico elemento plausibile
di questa nuova ricostruzione. Wolff consigliò Hitler
di adottare la politica della mano leggera, che aveva avuto
sempre ottimi risultati. E spiegò che per realizzare
il progetto gli occorrevano non meno di 4 settimane".
Ma torniamo alle rivelazioni di Gente. Secondo Porta, Hitler
cercava una scusa per eliminare il Papa che considerava "scomodo".
E ancora: facendo ricadere la colpa sugli alleati intendeva
scatenare la reazione contro gli anglo-americani. Ma come
fallì il piano, che era stato affidato ai reparti dell'Ottava
divisione di cavalleria "Florian Geyer" delle SS
vestiti con uniformi italiane? "Tutto il piano è
scritto nel documento fu sospeso all'ultimo minuto, non si
sa per quale motivo, tanto più che i germanici si erano
ben guardati da renderne edotto il Duce. Si dubita che solo
Pavolini sia stato interpellato per avere almeno un appoggio
e una responsabilità morale da parte fascista".
In molti sottovalutarono la mostruosità
del progetto di sterminio attuato da Hitler
di Alberto Melloni
(dal Corriere della Sera del 18 maggio 2002)
Fiumi d'inchiostro sono stati versati sull'atteggiamento
di Pio XII durante la Shoah. Da quando una pièce teatrale
che è la base di un recente film di Costa Gavras, accusò
il papa, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, come titolava un
volume di saggi di Giovanni Miccoli, continuano ad animare
sia il lavoro storico che la discussione pubblica. Difeso
affastellando attenuanti banali e incolpato d'essere addirittura
«II papa di Hitler», Pio XII è rimasto
a lungo il fulcro d'una polemica che, grazie alla chiusura
degli archivi vaticani, metteva tutto sul conto del pontefice.
Su questo schema interpretativo ha inciso poco la decisione
montiniana di pubblicare una selezione degli atti della diplomazia
pontificia, mentre ha ottenuto di più una storiografia
(E. Fattorini, C.F. Casula, A. Riccardi, G. Vecchio oltre
al citato Miccoli) che ha documentato la complessità
delle periodizzazioni e delle responsabilità nella
Shoah. In questa linea, e poche settimane dalla decisione
papale di aprire nei prossimi mesi le carte vaticane, arriva
per i tipi del Mulino il bel saggio La chiesa e lo sterminio
degli ebrei di Renato Moro. Egli conduce il lettore fra le
fonti e gli studi oggi disponibili con la sicurezza del maestro
di storia: di storia sì, che è paga di
capire fatti, nessi, origini e non cerca «prove»
contro i perpetratori e gli spettatori della violenza nazista
e fascista, che sono condannati dalla vita. Moro porta il
lettore dentro una contraddizione che ha per soggetto la chiesa
e lascia che gli argomenti della polemica su Pio XII riprendano
posto su più vasti scenari per capirne la reale portata.
L'antigiudaismo cattolico ha una cronologia diversa dall'antisemitismo
degli Stati totalitari? Sì: ma è tale discronia
che impedì l'esprimersi di un giudizio teologico e
politico sulle leggi razziali nel 1939 (p. 97). Pio XII sprezzò
in privato il nazismo? Sì: ma egli e la Santa Sede
non hanno «pienamente tenuto conto dell'unicità
mostruosa della iniziativa hitleriana sul terreno della politica
razziale» (p. 110). I cattolici che erano intrisi della
stessa cultura del disprezzo che pervadeva i carnefici salvarono
un po' di ebrei? Sì, ma «l'aiuto prestato dai
singoli non risolve, ma moltiplica i problemi» (p. 29).
Insomma: Moro mostra che è necessario un equilibrio
che non è frutto di calcoli politici, ma di uno studio
da cui s'evince che «il silenzio è un
problema collettivo, non individuale» (p. 29), perché
tale è il cattolicesimo. Non basta un libro, che è
avvincente per il pubblico e convincente per gli studiosi,
a sventare il semplicismo (in fondo subdolamente revisionista)
di chi vuol cancellare l'antisemitismo con una gita nei lager
o rinchiuderne il peso nel papa d'un Vaticano impotente con
un Amen: «Tutto verrà alla luce: delinquenze
e condanne» scriveva nel 1942 monsignor Tardini, il
cervello della diplomazia vaticana; e con questo tutto la
storia non cessa di lavorare.
La sassata di Davide colpisce Pio XI e Dossetti
Un libro di David Kertzer sui
papi antiebrei risparmia Pio XII. Ma fa a pezzi il predecessore.
Botta e risposta con "La Civiltà Cattolica"
di Sandro Magister
(Da L'Espresso 28 febbraio 2002)
Il volume di David I. Kertzer "I papi
contro gli ebrei" si distacca di netto dalla sequela
di libri dedicati a esecrare o giustificare i "silenzi"
di Pio XII sullo sterminio nazista. Nel libro di Kertzer,
infatti, di Pio XII quasi non si parla. I papi di cui racconta
sono quelli che vanno da Pio VII a Pio XI. Da Napoleone alla
vigilia della seconda guerra mondiale. Il libro è ben
costruito. Troppo. Perché di questi papi e dei coevi
gerarchi di Chiesa allinea soltanto le parole e gli atti "contro
gli ebrei". La tesi è esposta con chiarezza nelle
prime pagine. E rovescia quella espressa dal Vaticano nel
documento del 1998 "Noi ricordiamo: una riflessione sulla
Shoah". A detta del Vaticano la Chiesa è stata
sì "antigiudaica" per ragioni religiose
e di questo chiede perdono ma mai "antisemita"
su basi razziste. A detta di Kertzer, invece, cè
continuità tra lantigiudaismo della Chiesa e
lantisemitismo di Hitler. Il primo ha aperto la strada
e fornito alimento al secondo. Più sotto trovate una
sintesi della ricostruzione di Kertzer, da lui stesso scritta
per il "Corriere della Sera". E subito dopo la replica,
sempre scritta per il "Corriere", di Giovanni Sale,
gesuita dellautorevole rivista "La Civiltà
Cattolica". Ma unaltra cosa va notata, del libro
di Kertzer: il severo giudizio di condanna calato su papa
Pio XI. Al cui confronto appaiono persino indulgenti i pochi
cenni che lautore riserva al successore, Pio XII. Con
questo Kertzer non solo si distacca dal luogo comune della
contrapposizione tra un Pio XI "buono" e un Pio
XII "cattivo". Ma contesta frontalmente proprio
la lettura di quel passaggio di pontificato, sul caso cruciale
degli ebrei, data dal maggiore maestro della cultura politica
cattolica del secondo Novecento italiano, Giuseppe Dossetti.
Dossetti formulò la sua lezione in una ampia e dotta
introduzione al volume di Luciano Gherardi "Le querce
di Monte Sole": una rilettura cristiana delle stragi
naziste di Marzabotto, edita dal Mulino nel 1986. E di una
vera lezione si trattava, storica e teologica insieme. Su
quelle pagine si sono formati, studiandole intensamente, i
monaci e i discepoli delle comunità fondate dallo stesso
Dossetti. Stando alla lezione di Dossetti, cè
una distanza abissale tra lantigiudaismo cattolico e
lantisemitismo nazista. A questultimo va riconosciuta
una "unicità" nel male che fa il pari con
l"unicità" che molti assegnano alla
Shoah. E proprio papa Pio XI sempre secondo Dossetti
"aveva avuto intuizioni profondissime" di
questa natura incommensurabilmente malvagia del nuovo antisemitismo
nazista. Laveva capita a fondo sul finire del suo pontificato.
E si sarebbe comportato di conseguenza, denunciandola al mondo
quando ancora cera tempo per fermarla... Ma morì.
E il successore Pio XII, a guerra ormai scoppiata, preferì
"sottomettersi a un principio prudenziale" e alla
"persistente speranza di negoziazioni riservate".
Questa la lezione di Dossetti. Che Kertzer fa a pezzi. Molto
sbrigativamente. Lultimo capitolo del suo libro, quello
che parla di Pio XI, ha per titolo "Lanticamera
dellOlocausto".
Ecco qui di seguito il botta e riposta di questi
giorni tra Kertzer e "La Civiltà Cattolica":
La Chiesa e la trappola del "sano antisemitismo"
di David I. Kertzer (Dal "Corriere della Sera" del
26 febbraio 2002) Come mostrano chiaramente le notizie della
scorsa settimana, il dibattito sul ruolo del Vaticano nella
Shoah non si è concluso. Il nuovo film di Costa-Gravas,
"Amen" , che inizia con il rifiuto di Pio XII di
prendere posizione pubblicamente contro lo sterminio nazista
degli ebrei, ha sollevato grida di protesta nella Chiesa in
Italia e altrove. Rispondendo a crescenti pressioni, lo scorso
venerdì il Vaticano ha dichiarato che gli archivi relativi
al papato di Pio XI (1922-1939) sarebbero presto stati aperti.
Negli ultimi anni il Vaticano ha inviato segnali ambigui su
come intenda affrontare questa parte del suo passato. Da un
lato Giovanni Paolo II ha chiesto a tutti i figli e le figlie
della Chiesa di fare "un esame della responsabilità
per i peccati commessi nel passato", ed egli stesso ha
chiesto perdono a nome della Chiesa per la passata intolleranza
nei confronti degli ebrei. Tuttavia la Commissione che ha
incaricato di investigare sul ruolo della Chiesa nella diffusione
dell'antisemitismo moderno ha concluso, nel rapporto del 98
"Noi ricordiamo", che la Chiesa non ha responsabilità
per l'Olocausto. La Commissione ha dichiarato che nel passato
la Chiesa ebbe un ruolo nel diffondere un'immagine negativa
degli ebrei solamente sotto l'aspetto religioso, mentre l'antisemitismo
moderno, che ha contribuito ad aprire la strada alla Shoah,
si componeva di immagini negative degli ebrei in ambito sociale,
economico, politico e razziale. La riluttanza del Vaticano
a confrontarsi con il suo scomodo passato è nuovamente
affiorata nella critica al mio nuovo libro, "I papi contro
gli ebrei: il ruolo del Vaticano nell'ascesa dell'antisemitismo
moderno", mandata in onda da Radio Vaticana. padre Giovanni
Sale, storico di "La Civiltà Cattolica",
ha sminuito il libro definendolo "pamphlet", e ha
aggiunto che "non era un serio libro di storia".
Aderendo alla visione ufficiale secondo cui le immagini negative
degli ebrei propagandate dalla Chiesa non avevano nulla a
che fare con l'antisemitismo, padre Sale ha affermato che
"La Civiltà Cattolica", le cui pagine dovevano
essere approvate dal Vaticano prima di andare in stampa, non
solo non promulgò l'antisemitismo, ma anzi si batté
con forza contro i pregiudizi. Senza dubbio padre Sale conta
sul fatto che pochi si daranno la pena di andare a controllare
i vecchi numeri di "La Civiltà Cattolica".
Che, invece, ebbe un ruolo importante nella diffusione dell'antisemitismo,
dalla nascita dell'antisemitismo moderno, nel 1880 circa,
fino alla seconda guerra mondiale. All'inizio del 1880, ad
esempio, la rivista pubblicò una serie di 36 articoli
violentemente antisemitici. Un passo del numero del 22 dicembre
1880 dice: "Se questa ebraica razza straniera è
lasciata troppo libera di sé, diventa subito persecutrice,
vessatrice, tiranna, ladra e devastatrice dei paesi dove si
stabilisce... Per impedire che questa razza perseguiti o sia
perseguita, sono necessarii freni sapienti e leggi speciali
a sua non meno che nostra difesa e salute". Ai cattolici
veniva continuamente ripetuto che gli ebrei non erano semplicemente
membri di una religione ostile, ma anche di una nazione ostile,
pronta a usare ogni mezzo criminale immaginabile pur di derubarli
e perseguitarli. Solo rimandando gli ebrei nei ghetti l'Europa
cattolica si sarebbe messa al riparo da essi. Per quel che
riguarda l'antisemitismo moderno, non c'è esempio più
pertinente di quello offerto dal linguaggio usato da "La
Civiltà Cattolica" nel 1893: "La nazione
ebraica - scrive l'autore gesuita - non lavora, ma traffica
sulle sostanze e sul lavoro altrui; non produce, ma vive e
ingrassa coi prodotti dell'arte e dell'industria delle nazioni
che le diedero ricetto. È il polipo gigante che co'
suoi smisurati tentacoli tutto abbraccia e attira a sé;
che ha lo stomaco nelle banche, e le sue ventose o i suoi
succhiatori da per tutto". Alle porte del XX secolo il
giornale del Vaticano, "L'Osservatore Romano", faceva
appello a "un sano antisemitismo". Nello stesso
articolo, del 1898, metteva i cattolici in guardia contro
i pericoli causati dall'emancipazione degli ebrei: "L'ebreo
ha voluto condurre una vita che non può assolutamente
condurre, abbandonandosi eccessivamente e inconsultamente
all'ingenita passione della sua razza, essenzialmente usuraia
e invadente". Non ha senso pensare che l'antagonismo
"religioso" del Vaticano verso gli ebrei non abbia
nulla a che fare con i movimenti del moderno antisemitismo.
Non c'è accusa più "religiosa" di
quella secondo cui gli ebrei torturavano e uccidevano i bambini
cristiani e ne usavano il sangue per i loro riti, un'accusa
che il Vaticano ripropose in varie occasioni fino alla prima
guerra mondiale. In un articolo uscito su "La Civiltà
Cattolica" nel 1914 si dice che il giudaismo insegnava
agli ebrei a considerare il sangue dei bambini cristiani "una
bevanda come il latte". Con l'aiuto del terreno preparato
dalla Chiesa, i nazisti riuscirono a sfruttare le accuse di
omicidio rituale, usandole spietatamente negli anni Venti
e Trenta allo scopo di demonizzare gli ebrei. E le leggi razziali
promulgate nel 1938 in Italia, o le leggi simili che privavano
gli ebrei dei loro diritti in Germania, Polonia e in altri
paesi negli anni Trenta non hanno niente a che vedere con
l'antisemitismo moderno? Non hanno avuto responsabilità
nel rendere possibile l'Olocausto? Perché padre Sale
non ha detto nulla a proposito del silenzio di Papa Pio XI
nei confronti di queste leggi razziali? Perché non
ha detto nulla del fatto che nell'agosto del 43, dopo
la caduta di Mussolini, il Vaticano si oppose ai tentativi
di revocare le leggi antisemite in Italia, sostenendo che
molti di quei provvedimenti erano in pieno accordo con la
dottrina della Chiesa? Il fatto è che dal momento in
cui le truppe italiane hanno liberato gli ebrei romani dal
ghetto nel 1870, il Vaticano ha continuato ad avvertire tutti
coloro disposti ad ascoltarlo, che dare uguali diritti agli
ebrei era un errore; a sostenere che gli ebrei erano "una
setta del male e volevano danneggiare i cristiani, che agli
ebrei interessavano solo i soldi e avrebbero fatto qualsiasi
cosa per averli, che gli ebrei controllavano la stampa e le
banche, e che gli ebrei erano sempre pronti a vendere il loro
paese al nemico". Questa è la triste storia che
perfino oggi il Vaticano rifiuta di riconoscere. Finché
non lo farà, essa rimarrà una piaga purulenta
che nessuna aspra denuncia da parte di studiosi come me potrà
sanare. È tempo che la Chiesa presti ascolto alle parole
di Giovanni Paolo II: solo guardando in faccia con onestà
i peccati del passato possiamo tutti sperare in un futuro
più luminoso.
La replica del gesuita della
"Civiltà Cattolica":
Altro che "leggenda nera", i gesuiti
non furono mai antisemiti
di p. Giovanni Sale S.I.
(Dal "Corriere della Sera"
del 28 febbraio 2002)
Gli articoli della "Civiltà Cattolica"
che il prof. Kertzer cita nel "Corriere" del 26
febbraio - va precisato per comprenderne il senso - furono
pubblicati in chiave anticomunista. La rivista combatté
il giudaismo dal punto di vista religioso e successivamente
sostenne, come molti cattolici e anche liberali di quel tempo,
la tesi del complotto giudaico-massonico-bolscevico contro
la società cristiana. Va ricordato però che
gran parte dei membri, 17 su 21, del Consiglio dei commissari
del popolo creato da Lenin dopo il 1917, cioè il governo
del Paese, era costituito da ebrei. Da qui nacque e si consolidò
la leggenda del binomio giudaismo-comunismo. È comprensibile
quindi che la Chiesa, combattendo il bolscevismo e la dottrina
atea che esso sosteneva, attaccasse allo stesso tempo anche
il giudaismo. La rivista però modificò poi il
suo antigiudaismo, che era cosa ben diversa dall'antisemitismo
professato a quel tempo da molti intellettuali di destra e
applicato subito dopo dai regimi totalitari. E per impulso
di Pio XI, a partire dal 1934, pubblicò alcuni articoli
contro l'antisemitismo razziale. Al prof. Kertzer che mi chiede:
"Perché il p. Sale non ha detto nulla a proposito
del silenzio di Pio XI nei confronti delle leggi razziali?",
rispondo dicendo che, com'è noto, "La Civiltà
Cattolica" fu l'unica rivista italiana che si oppose,
già nell'agosto 1938, alla legislazione razziale emanata
da Mussolini il 1° settembre 1938. Del resto anche dal
nostro archivio risulta che l'autore degli articoli, il p.
Antonio Messineo, fu contattato da un membro del Gran Consiglio
del fascismo, il quale gli chiese di scrivere alcuni articoli
contro le teorie razziste, che il Duce era in procinto di
applicare anche in Italia, con la speranza che essi potessero
bloccare il progetto.
Pio XI diede il suo assenso. Dopo che il primo
articolo uscì il 4 agosto 1938, la questura di Roma
intimò, alla tipografia che stampava allora la nostra
rivista, di non pubblicare più scritti contrari alle
teorie razziste, pena la chiusura dell'azienda. L'articolo
condannava la teoria che riduceva la nazione alla razza, "difesa
- scriveva il p. Messineo - con una ostinatezza e un fanatismo
ideologico degno di migliore causa e con una povertà
di argomenti da tutti gli scrittori che traggono ispirazione
dal mito razzista della nuova Germania" ("La Civiltà
Cattolica" 1928 III 216).
Qualche mese prima il p. Enrico Rosa (che pure
in passato aveva assunto posizioni antigiudaiche, per motivi
religiosi) pubblicò sulla rivista un articolo molto
forte contro le teorie razziste divulgate in Germania. Egli
vedeva come infatuazione o follia collettiva quelle teorie,
che volevano esaltare "la stirpe o la razza germanica
al di sopra di tutte le altre, come la più perfetta
. Laddove tutte le altre stirpi del genere umano sarebbero
ad essa inferiori, tutte da posporsi o asservirsi alla "grande
Germania", ovvero anche da sterminarsi, come l'ebraica"
("La Civiltà Cattolica" 1938 III 63). Vanno
inoltre ricordati gli articoli che "La Civiltà
Cattolica" pubblicò dopo l'adozione delle leggi
razziali da parte del fascismo, anche in difesa dei "matrimoni
misti", cioè tra cattolici ed ebrei; quelle norme
erano considerate da Pio XI lesive della dignità umana
e, inoltre, del Concordato stipulato dall'Italia con la Santa
Sede.
Queste tesi sostenute dalla nostra rivista
furono poi riprese da Pio XII già nella sua prima enciclica
"Summi Pontificatus". Durante l'udienza del 30 ottobre
1939 Pio XII chiese, al direttore della "Civiltà
Cattolica", di tenere presenti negli articoli successivi
"gli errori condannati dall'enciclica, in particolare
si difenda l'unità del genere umano contro i razzismi".
Da questo punto di vista non c'è alcuna contraddizione
tra il magistero di Pio XI e quello di Pio XII.
Che la propaganda razzista in Germania e in
Europa e le leggi razziali abbiano poi condotto all'Olocausto,
come afferma Kertzer, è certamente vero, non vedo però
quale legame ci sia tra questo tragico evento del secolo appena
trascorso e la responsabilità della Chiesa a questo
riguardo, che ha sempre denunciato l'antisemitismo e ha fatto
di tutto per salvare da "morte certa" centinaia
di migliaia di queste vittime. Sono gli stessi archivi statunitensi
a scagionare oggi Pio XII da presunte "colpe" o
inconfessate sue "connivenze con Hitler". I dispacci
dell'Office of Strategic Services provano invece una realtà
diversa. In uno di essi si dice che Pio XII è nemico
della Germania, perché "ha ritenuto necessario
intervenire a favore degli ebrei", e in un altro si legge:
"I tedeschi promisero che il Papa non avrebbe più
commemorato la sua incoronazione". Ma Kertzer sembra
rimanere legato alla leggenda nera divulgata anche in opere
teatrali e cinematografiche.
Pio XII e la Shoah: i lavori della commissione
non ripartiranno
La commissione mista indagava
sul silenzio di Pio XII sull'Olocausto
(da CNNItalia.it 24 agosto
2001)
CITTA' DEL VATICANO (CNN) -- Nessuna riapertura
in vista per i lavori della commissione mista formata da storici
ebrei e cattolici per indagare sull'atteggiamento di Papa
Pio XII verso la Shoah, lo sterminio degli ebrei da parte
dei nazisti. La Santa Sede non ritiene possibile una ripresa
delle ricerche "allo stato attuale", anche se ha
fatto sapere che nei prossimi mesi "si adopererà"
per trovare "i modi adeguati per riattivare la ricerca
su nuove basi". Tra numerose polemiche, il gruppo di
studio su Pio XII aveva sospeso i lavori lo scorso luglio.
Il motivo, a detta degli studiosi, era di non poter giungere
a "conclusioni credibili" sull'operato di Papa Pacelli
nei confronti degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale,
senza poter consultare gli archivi della Santa Sede che il
Vaticano aveva rifiutato di aprire. L'impasse rimane: la commissione
vaticana per i rapporti religiosi con l'ebraismo ha fatto
sapere venerdì che riaprirà gli archivi relativi
al periodo 1922-1958 quando "sarà ultimato il
lavoro di riordino e di catalogazione". Secondo il Vaticano,
il clima di reciproca sfiducia e diffidenza ha fatto venire
meno le basi per un lavoro scientifico e corretto. Allo stato
attuale, quindi, non sembra possibile prevedere "la riattivazione
del lavoro comune".
I motivi del dissidio
Gli ebrei hanno contestato al Vaticano di non
voler rispondere alle loro domande e di rifiutare l'accesso
agli archivi segreti. Dal canto suo, il cardinale Walter Kasper,
che presiede la commissione vaticana per i rapporti con gli
ebrei, ha ribattuto che il permesso di accedere agli archivi
successivi al 1922 "non era mai stato prospettato".
La tensione si è acuita e "di fatto", ha
dichiarato Kasper, "si è dovuta constatare l'impossibilità
di superare le diverse interpretazioni date ai compiti e allo
scopo del gruppo". La commissione è stata avviata
nel 1999 dal Vaticano insieme al Comitato internazionale ebraico
per le consultazioni interreligiose con lo scopo di fare chiarezza
sul silenzio di Pio XII, in via di beatificazione, di fronte
al piano nazista di sterminio degli ebrei. Dopo un anno di
studi erano emersi punti dubbi ed ombre sull'atteggiamento
del Vaticano e di Papa Pacelli. Per questo era stato richiesto
di poter consultare gli archivi vaticani, in modo da approfondire
la questione. Il permesso è stato negato dal Vaticano
il 21 giugno scorso. Kasper aveva offerto in alternativa la
possibilità di parlare con gli studiosi del Vaticano
di Pio XII, e aveva invitato gli storici a cercare le loro
risposte in altri archivi. La commissione di studio ha allora
deciso di sospendere le ricerche. "Senza una risposta
positiva alle nostre aspettative", hanno fatto sapere
gli studiosi ebrei e cattolici del gruppo, "per quanto
concerne il materiale custodito negli archivi e finora mai
pubblicato, noi non possiamo dare credibilità al nostro
lavoro." Nessuna schiarita è all'orizzonte, anche
se il Vaticano ha fatto sapere di ritenere "comprensibile
e legittimo" il desiderio degli storici di poter consultare
i testi relativi al pontificato di Pio XII. Gli archivi però
rimarranno inaccessibili fino al termine del loro riordino.
Pio XII e Olocausto: Vaticano
nega gli archivi, la commissione sospende i lavori
Il silenzio di Pio XII sulla deportazione
degli ebrei da parte dei nazisti fu colpevole? Su questo doveva
indagare la commissione formata da storici cattoli ed ebrei
che ha sospeso i lavori
(da CNNItalia.it 25 luglio
2001)
CITTÀ DEL VATICANO (CNN) -- I lavori
della commissione mista di storici cattolici ed ebrei che
indagava sul ruolo di papa Pio XII durante l'Olocausto sono
stati sospesi. Il gruppo ha gettato la spugna affermando di
non poter giungere a conclusioni "credibili" senza
l'accesso agli archivi della Santa Sede che custodiscono i
documenti sull'attività pontificia durante la Seconda
Guerra mondiale, negato dal Vaticano. La commissione congiunta
fu creata nel 1999 dal Vaticano e dal Comitato internazionale
ebraico per le consultazioni interreligiose proprio per gettare
luce sul silenzio di papa Pacelli, in via di beatificazione,
di fronte al piano nazista di sterminio degli ebrei. Nell'autunno
dello scorso anno, dopo quasi un anno di studi, la commissione
aveva steso un rapporto dal quale emergevano una serie di
punti "oscuri" sull'operato del Vaticano e in particolare
sull'atteggiamento personale di Pio XII. Fu quindi chiesto
l'accesso agli archivi papali per un approfondimento. Il 21
giugno scorso è arrivata però agli storici la
risposta negativa della Santa Sede. Nella lettera il cardinale
Walter Kasper, presidente della pontifica commissione per
il dialogo con gli ebrei, offriva alla commissione di avere
dei colloqui con gli studiosi del Vaticano di Pio XII e suggeriva
di esplorare altri archivi per cercare alcune delle risposte
agli interrogativi rimasti aperti. I ricercatori hanno reso
nota la decisione di sospendere i lavori in una lettera diffusa
alla stampa e firmata sia dai tre storici di fede ebraica
sia da quelli cattolici: "Senza una risposta positiva
alle nostre aspettative - si legge nella missiva - per quanto
concerne il materiale custodito negli archivi e finora mai
pubblicato, noi non possiamo dare credibilità al nostro
lavoro". Secondo Eugene Fischer, coordinatore per i cattolici
della commissione ed esponente della Conferenza episcopale
statunitense, il Vaticano ha negato la richiesta degli studiosi
di avere accesso agli archivi solo per "motivi tecnici":
i documenti datati dal 1923 in poi "semplicemente non
sono stati ancora rilegati o catalogati". "Non è
in questione 'se' li apriranno, ma piuttosto 'quando' "
ha sottolineato Fischer. Ma il coordinatore degli studiosi
ebrei resta scettico. Seymour Reich, presidente del Comitato
interreligioso, ha detto di essere rimasto "deluso che
la Santa Sede abbia respinto una richiesta avanzata da studiosi,
metà dei quali cattolici". Il direttore del Congresso
mondiale ebraico (Wjc) Elon Steinberg ha definito il rifiuto
del Vaticano "una profonda pecca morale" in quanto
"ogni Stato europeo, eccetto la Santa Sede, ha aperto
i propri archivi sul periodo in questione". "Con
profondo dolore - ha aggiunto Steinberg - dobbiamo dedurre
che il Vaticano intende mantenere il vergognoso silenzio di
Pio XII". Un esponente cattolico della commissione, monsignor
Gerald Fogarty, non crede però che il Vaticano stia
nascondendo informazioni che potrebbero rallentare il processo
di beatificazione di Pio XII. "Ritengo senz'altro che
l'apertura degli archivi ci avrebbe consentito di chiarire
molti lati ancora oscuri dell'atteggiamento del Papa nei confronti
degli ebrei - ha detto Fogarty - ma dubito che ci siano tra
i documenti prove compromettenti". Fino ad ora gli esperti
della Commissione hanno lavorato solo sugli undici volumi
degli "Atti della Santa sede durante la Seconda Guerra
mondiale", curati da alcuni padri gesuiti oltre 30 anni
fa su incarico dell'allora papa Paolo VI che voleva difendere
la memoria del suo predecessore Pio XII dalle "infamanti
accuse " di aver tenuto un atteggiamento colpevolmente
silenzioso sull'Olocausto. (Ansa e AP)
Ma di ebrei ne salvò molti
Una monografia di Tomielli e
un saggio di Gaspari ricostruiscono in tutta la sua generosità
l'opera del Pontefice
di Gianfranco Morra (da
Libero, 13 maggio 2001)
La figura di Pio XII, il papa della seconda
guerra mondiale continua ad essere oggetto degli interessi
degli storici. Anche se di cose. in quei terribili 19 anni
di pontificato, ne fece tante, l'attenzione verte ancora sul
suo discusso atteggiamento nei confronti della questione ebraica,
divenuta per opera di Hitler un tentativo di totale genocidio,
non a caso chiamato "soluzione finale". Le non poche
denigrazioni della figura di Pio Xll furono aperte nel 1963
dal lavoro teatrale "II Vicario" di Hochhuth. Subito
pubblicato in Italia da Feltrinelli con l'avallo di un "cattolico"
tuttofare come Carlo Bo. Non si tratta mai di opere scritte
da ebrei, ma da autori della sinistra filosovietica, che non
hanno digerito la scomunica di Pio XII nei confronti dei comunisti.
Esse si basano esclusivamente su ipotesi e supposizioni. Il
recente studio di Antonio Gaspari, "Gli ebrei salvali
da Pio XII" (Edizioni Logos). lascia invece parlare i
fatti. Esso raccoglie le testimonianze di gratitudine espresse
a Papa Pacelli da uomini del mondo israelitico per la sua
opera in favore degli ebrei. Si tratta dei fondatori dello
stato di Israele, di rabbini ed ebrei comuni, che ringraziano
Pio XII per l'aiuto ricevuto durante la persecuzione. che
si è tradotto nella salvezza di migliaia di persone.
Che non furono sottratte allo sterminio soltanto dalla iniziativa
personale di uomini del clero, ma spesso dietro esplicite
richieste del Papa. Le due cose non si escludono, se è
vero che Pio XII aveva chiesto ai vescovi di fare tutto il
possibile. Il Cardinale Boetto di Genova ne salvò 800,
quello di Assisi 300, il cardinale Palazzini (considerato
"di destra") ne nascose molti nel Seminario Romano.
Cinquantuno ebrei furono ricoverati nell'Istituto Dermopatico
"Maria Immacolata" a Roma, dove venivano sporcati
con creme diverse. I medici chiamavamo questa malattia inventata
"morbo di Kesseiring" e i finti malati cantavano:
"Salve Maria, nostra speranza, ai nostri ebrei dona una
stanza". Quando, nel 1955, venne celebrato il X anniversario
della liberazione, l'Unione delle Comunità Israelitiche
proclamò il 17 aprile "Giorno della gratitudine".
Per chi? Per Pio XII. Cosa non strana, se si pensa che solo
a Roma furono salvati 4.447 israeliti. Questi documenti giustificano
il titolo di un libro da poco in libreria: "Pio XII.
Il papa degli ebrei" (Piemme), esplicita risposta ad
uno studio piuttosto fazioso, comparso l'anno scorso: John
Cornwell, "Il papa di Hitler" (Garzanti). L'autore,
Andrea Tornielli, è un giornalista, anzi un vaticanista,
che riesce a darci una storia autentica e documentata nella
forma di un grande reportage. Che ci spiega l'atteggiamento
di Pio XII verso gli ebrei ripercorrendo tutta l'attività
diplomatica di Pio XII, che fu, come è noto, Nunzio
Apostolico in Germania dal 1920 al 1938, prima di diventare
Papa nel 1939. L'Autore ci offre con realismo e acutezza un
quadro delle difficoltà del Vaticano negli anni in
cui Mussolini era alleato con Hitler e. dopo 1'8 settembre
1943, Roma era occupata dai nazisti. Rimproverare a Pio XII
di non avere scomunicato Hitler significa fare della retorica
a buon prezzo. Quali sarebbero state le conseguenze di un
simile atto per i cattolici e per gli ebrei (due religioni
che Hitler accomunava nell'odio e nel disprezzo), in quel
clima di guerra di sterminio, è facilmente comprensibile.
L'unica cosa da fare era di aiutare gli ebrei per mezzo delle
strutture della chiesa cattolica. Come di fatto avvenne: i
conventi e le parrocchie, i seminari e i santuari divennero
il rifugio sicuro non solo di migliala di ebrei, ma anche
di antifascisti e comunisti. La scrittrice inglese Barbara
Barclay-Carter ha parlato di oltre 40.000 rifugiati. Interessante
il caso del rabbino capo di Roma, Israel Zoller (italianizzato
in Zolli), un polacco che fu grande studioso della Bibbia
e sino al 1938, quando a seguii delle leggi razziali fasciste
fu destituito. Divenuto rabbino capo e Roma, venne cercato
dalla Gestapo, che mise su di lui una taglia di 300.000 lire,
ma inutilmente dato che era ben nascosto pressi una famiglia
cattolica. Passata 1a bufera, arrivati a Roma gli americani,
Zolli non dimenticò quanti Pio XII aveva fatto per
il suo popolo. Il 13 febbraio 1945 ricevette i battesimo (lo
seguiranno la moglie e i figli). Ma il fatto più importanti
è che egli, come nome di battesimo, scelse Eugenio,
proprio per esprimere riconoscenza a Pape Pacelli. In quel
momento le persecuzioni cambiarono di segno. Il neocristiano
ricevette dai suo ex-correligionari americani allettanti offerte
di danaro per farlo rientrare nella sinagoga, ma anche esplicite
minacce, per sfuggire alle quali dovette rifugiarsi nuovamente
dai cattolici. Visse nella Università gregoriana sino
alla morte. La sua "Guida all'Antico e Nuovo Testamento",
pubblicata postuma nel 1956, non è solo un classico
della esegesi biblica, ma anche la chiave per capire il segreto
della sua conversione. I documenti pubblicati da Gaspari e
la monografia di Tornielli riescono a gettare nel cestino
dei rifiuti le malevole interpretazioni dei nemici di Pio
XII. Sappiamo però che la sinistra a un papa può
perdonare tutto, ma non di essere stato anticomunista. E Pio
XII lo era, non meno dell'attuale. Che non a caso subì
l'attentato in piazza S. Pietro (ed è recente la notizia
che c'era un progetto di eliminarlo anche durante il suo primo
viaggio in Polonia, con il veleno messo nel dolce popolare
da lui preferito). Forse il giudizio più convincente
rimane tuttavia quello dall'attuale rabbino-capo di Roma,
Elio Toaff, che avrà l'occasione storica di ricevere
nella sua sinagoga la visita di Giovanni Paolo II. Toaff fu
salvato da un sacerdote marchigiano, come raccontò
in televisione: "Devo la vita a don Bernardino della
Chiesa del Gesù di Ancona. Stavo tornando a casa quando
lui mi venne incontro e mi disse che i tedeschi mi aspettavano".
Nel 1958, così si espresse: "Più di chiunque
altro noi abbiamo avuto modo di beneficare della grande e
caritatevole bontà e della magnanimità di Pio
XII. durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando
ogni speranza sembrava esser morta per noi". Una testimonianza
che inclina totalmente la bilancia dal papa di Hitler al papa
degli ebrei.
Il Congresso ebraico: nuove prove contro
Pio XII e il nazismo
(da CNNItalia.it 12 gennaio
2001 )
NEW YORK (CNN) -- Il Congresso ebraico mondiale
(Cem) ha reso noto un documento che ritiene mostri il doppio
standard morale di Papa Pio XII durante la Seconda guerra
mondiale. Il Cem è impegnato in una campagna per impedire
che Pio XII venga beatificato. Il documento, di quattro pagine,
risale al 1945 ed è la copia di un testo redatto da
monsignor Giovanni Battista Montini, che allora era il 'ministro
degli esteri' vaticano e che sarebbe poi diventato pontefice
con il nome di Paolo VI. Nel testo, consegnato al servizio
estero degli Stati Uniti nel 1945, vengono dettagliatamente
denunciate violenze compiute dalle truppe sovietiche contro
i tedeschi residenti nel settore orientale di Berlino. Tra
le altre cose si afferma che i sovietici uccisero centinaia
di persone dando fuoco alle loro abitazioni. Elan Steinberg,
direttore esecutivo dell'organizzazione ebraica, afferma che
la denuncia vaticana dei crimini commessi dai sovietici contrasta
con la mancanza di una condanna del genocidio nazista durante
la guerra. "In certo senso è un capo d'accusa
della doppia morale praticata da Pio XII - ha detto alla Reuters
Steinberg - Il Vaticano non ha avuto esitazione nel accusare
correttamente i sovietici di atrocità, ma ha tragicamente
mancato di fare altrettanto a proposito dell'omicidio di ebrei
durante l'Olocausto". A giudizio di Steinberg, il documento
redatto da monsignor Montini - considerata la sua alta carica
nella gerarchia vaticana - riflette le inclinazioni di Pio
XII. Le organizzazioni ebraiche si oppongono alla beatificazione
di Pio XII perché ritengono che il suo aver mancato
di usare la propria autorità morale pubblica nel denunciare
le atrocità del nazismo sia un triste esempio di come
l'Europa tradì gli ebrei. La Chiesa ha invece difeso
il pontefice affermando che egli lavorò dietro le quinte
per salvare gli ebrei e impedire che i nazisti compissero
ulteriori atrocità. Pio XII fu Papa dal 1939 al 1958.
Secondo Steinberg il documento firmato da monsignor Montini,
declassificato dagli Archivi nazionali americani nel 1998,
non era finora reso pubblico. L'autunno scorso un comitato
composto da tre studiosi ebraici e tre cattolici rese pubblico
un rapporto in cui veniva esaminato il ruolo del Vaticano
durante l'Olocausto. Gli studiosi affermarono che esistono
"prove che la Santa sede fosse ben informata sin dalla
metà del 1942 circa il moltiplicarsi di omicidi di
massa di ebrei".
"Il Vaticano apra gli archivi"
Pio XII, parlano gli storici
Primi risultati della commissione sui rapporti
tra Sante Sede e nazismo
(da CNNItalia.it 27 ottobre
2000 )
ROMA (Ansa) -- La richiesta di mettere a disposizione
tutti i documenti in possesso del Vaticano, quarantasette
punti che analizzano aspetti da approfondire, e la certezza
di non dover "difendere né i cattolici né
gli ebrei", ma di dover fare gli storici e "rispondere
al mandato affidatoci di far luce sulla verità storica".
La commissione mista di storici cattolici ed ebrei che ha
lavorato per comprendere la posizione di Pio XII e della Santa
Sede nei confronti del nazismo, ha presentato un suo rapporto
preliminare - in parte anticipato ieri da Le Monde - durante
una conferenza stampa tenutasi oggi a Roma. Alla presentazione
erano presenti i due coordinatori della commissione - Eugene
Fisher, del comitato ecumenico e interreligioso della Commissione
episcopale degli Usa, e Seymour Reich, dell'International
Jewish Committee for interreligious consultations (Ijcic)
- e i sei studiosi, tre cattolici e tre ebrei: Eva Fleischener,
il gesuita Gerald Fogarty e il reverendo John Morley, l'esperto
di studi sulla Shoah Michael Marrus, Robert Suchecky dell'università
di Bruxelles e Robert Wistrich dell'università ebraica
di Gerusalemme. Gli storici, che in questi giorni hanno incontrato
vari esponenti della Santa Sede, si dicono "fiduciosi"
in una risposta positiva del Vaticano alla richiesta di ulteriori
documenti, e convinti di poter continuare il loro lavoro.
"Non abbiamo ovviamente ancora avuto risposta alla richiesta
di ulteriori documenti - ha chiarito Reich - perché
la Santa Sede dovrà analizzare il nostro rapporto,
e capire come muoversi e non è una cosa che si possa
fare in un giorno". "Siamo lontani - ha specificato
poi il reverendo Morley - dalla polemica altissima che ha
spesso offuscato una serena ricerca: l'ultima cosa che pensiamo
è di essere di parte, e di dover difendere qualcosa
o qualcuno; siamo coscienti della difficoltà della
Santa Sede a definire un giudizio storico su questo tema,
e inoltre i documenti possono essere variamente interpretati".
La cattolica Eva Fleischner ha chiarito la sua opinione su
Pio XII: "Le aspettative sul ruolo che questi poteva
giocare contro il nazismo sono molto alte, più che
verso qualsiasi altro leader, inoltre papa Pacelli credeva
nel ruolo della diplomazia, che pure ha le sue regole e i
suoi limiti". "Probabilmente - ha aggiunto - non
comprese che per fermare la micidiale macchina distruttiva
del nazismo serviva altro che la preghiera e la diplomazia:
in questo senso reputo che fu più diplomatico che profeta".
La "formazione da diplomatico" di Pio XII e la sua
preoccupazione di "difendere in prima istanza la libertà
della Chiesa" sono stati ricordati anche da padre Fogarty.
Bernard Suchecky ha ricordato che "l'anacronismo è
grande nemico della storia: non possiamo applicare alla Santa
Sede dell'epoca la visione del mondo che abbiamo oggi".
Suchecky ha poi ricordato come "l'antigiudaismo cattolico
è stato messo in questione solo dal concilio Vaticano
II". Michel Marrus ha invitato invece a distingure tra
''informazione e consapevolezza: le notizie sui misfatti nazisti
erano in possesso della Santa Sede come degli altri governi,
ma la consapevolezza richiede più tempo". Morley
gli ha fatto eco aggiungendo che "nel '42 tutto il mondo
era a conoscenza delle deportazioni, e il Vaticano - come
gli altri - si chiedeva cosa fare e come farlo, e non parlava".
Nessun dubbio da parte della commissione mista, anche dopo
gli incontri di questi giorni con i cardinali Cassidy e Laghi
e con monsignort Mejia, di poter proseguire serenamente le
ricerche. "Sappiamo - ha commentato Fisher - che la Santa
Sede rispetta la libertà degli studi e ne sta dando
esempio in ogni occasione" (ANSA).
PIO XII Nuove domande per un silenzio
Verrà presentato oggi
il documento congiunto tra ebrei e cattolici che pone 47 interrogativi
su il Vaticano e lOlocausto e chiede un
supplemento dindagine
di Lorenzo Cremonesi
(dal Corriere della Sera del 26 ottobre 2000)
CITTA' DEL VATICANO Doveva essere un
passo conclusivo per trovare finalmente la risposta all'annosa
polemica sui cosiddetti «silenzi di Pio XII» durante
lo sterminio degli ebrei. Ma in realtà il «Rapporto
preliminare», che verrà ufficialmente reso noto
questa| mattina dalla «Commissione storica internazionale
cattolico-ebraica» formata rispettivamente da tre storici
di ciascuno dei due campi, evita con cura ogni conclusione
per concentrarsi invece su di una lunga lista di domande.
Sono interrogativi duri, devastanti. Per esempio: perché
il Papa dette la sua approvazione all'antisemitismo di Vichy,
purché fosse «amministrato con carità»?
Oppure, come mai la Santa Sede si oppose all'emigrazione dei
bambini ebrei in Palestina, ben sapendo che se fossero rimasti
in Europa sarebbero finiti nelle camere a gas? E ancora: come
rispose Pio XII alla richiesta di condanna dello sterminio
che giunse più volte in toni disperati dallo stesso
vescovo di Berlino, Konrad Von Preysing? E' una lista di ben
47 domande in sole 22 pagine di testo (col titolo Il Vaticano
e l'Olocausto), che solleva questioni centrali e profondissime,
destinate certo non a calmare il dibattito, ma semmai a rilanciarlo
con intensità ancora maggiore. Con un unico punto fermo:
occorre che la Santa Sede accetti di aprire i suoi archivi
per ulteriori ricerche. «In Vaticano speravano di poter
arrivare a un documento conclusivo che tutto sommato confermasse
la validità degli 11 volumi di documenti diplomatici
della Santa Sede per il periodo 1939-45 pubblicati dal 1965
ai primi anni Ottanta. Forse si auguravano che avrebbe dato
la luce verde al processo di beatificazione di Papa Pacelli.
Ma, dopo la nostra ricerca, i dubbi sono più fitti
di prima», osserva Robert Wistrich, docente all'università
di Gerusalemme e componente della parte ebraica della Commissione
assieme a Michael Marrus, esperto di studi sull'Olocausto
negli Stati Uniti, e a Bernard Suchecky, docente a Bruxelles
e autore di un volume su Pio XI e la sua nota condanna dell'antisemitismo
nazista. Da parte cattolica vige grande cautela. Un atteggiamento
sottolineato ieri sera dal nervosismo che prevaleva nei corridoi
della «Domus Sancta Marthae», la residenza all'intemo
della Città del Vaticano dove sono alloggiate le due
commissioni. «Voglio ricordare che il nostro lavoro
è iniziato circa un anno fa con la massima armonia
per cercare di rispondere a dilemmi difficili. E questa armonia
prevale tuttora», sottolineano i tre storici: Eva Fleischner,
docente nel New Jersey, il reverendo Gerard Fogarty, professore
di studi religiosi in Virginia, e padre John Morley, a sua
volta docente della materia e autore di un libro «pionieristico»
negli anni Settanta sulla Chiesa e il nazismo. La cautela
non riesce comunque a nascondere le difficoltà. La
Santa Sede mira a minimizzare l'importanza della cosa, tanto
che vorrebbe persino evitare la conferenza di presentazione
del documento. «La commissione ha dimostrato un positivo
apprezzamento per la documentazione che è stata messa
a disposizione dagli archivi», ha dichiarato il portavoce
vaticano, Joaquin Navarro Valls, riferendosi al permanere
della validità degli 11 volumi di documenti diplomatici.
Ha però anche ammesso che si «aprono una serie
di questioni che, secondo gli esperti del gruppo, necessitano
di ulteriore documentazione». Cosa significa? «Forse
la Chiesa aprirà i suoi archivi?», si chiedevano
tra loro gli ebrei. Ufficiosamente in Vaticano si suggerisce
che un compromesso potrebbe condurre alla visione dei documenti
citati negli 11 volumi, ma non riportati per intero. E' sufficiente?
«Proprio no. Noi abbiamo rispettato il nostro mandato
che un anno fa ci ha portato a studiare gli 11 volumi già
pubblicati risponde la controparte in un punto del
comunicato stampa che verrà reso noto oggi .
E abbiamo cristallizzato una serie di domande a cui attendiamo
risposta». Eccone alcune: «Perché i silenzi?».
Nel 1937 Eugenio Pacelli è Segretario di Stato, gioca
un ruolo trainante nell'enciclica «Mit brennender Sorge»
voluta da Pio XI per condannare le dottrine razziali naziste.
Per capire di più sul pensiero del futuro Papa occorre
avere accesso ai documenti preparatori di quell'enciclica.
Nell'agosto 1941 il maresciallo Pétain chiede il parere
della Santa Sede sul progetto di legislazione antiebraica.
«La risposta affermativa giunge per mano del sottosegretario
di Stato vaticano, Giovanni Battista Montini e di Domenico
Tardini, segretario della Congregazione per gli Affari ecclesiastici
straordinari, nella quale si dichiarava che non vi era alcuna
obiezione a questa legislazione, sempre che venisse amministrata
con giustizia e carità e non limitasse le prerogative
della Chiesa». «Il Papa fu consultato?».
Alla fine dell'agosto 1942, il Metropolita greco cattolico
di Lvov, Andrzeyj Szeptyckyj scrive al Papa descrivendogli
in dettaglio i massacri di massa tra la popolazione locale
ebraica. I particolari sono raccapriccianti, con dovizia di
testimonianze dirette. Egli suggerisce persino che il Papa
protesti personalmente presso Himmler e denuncia la «cooperazione
di alcuni cattolici» con i soldati delle SS nei pogrom
in Ucraina. «Dove si possono trovare le risposte del
Papa, o almeno prove di una discussione sul tema in Vaticano»?
Il cardinale e vescovo di Cracovia, Adam Sapieha, la cui diocesi
comprendeva anche Auschwitz, in una lettera di febbraio 1942
al Papa racconta delle persecuzioni naziste contro la popolazione
polacca. Ma non fa alcun accenno agli ebrei, «sebbene
senza dubbio sapesse ciò che stava accadendo nel grandi
campo di sterminio a pochi chilometri da casa sua».
«Esistono altre sue comunicazioni non pubblicate che
invece riguardano gli ebrei? Si può conoscere di più
sulle comunicazioni tra Vaticano e diocesi polacche? E ancora:
come reagì il Vaticano davanti alla distruzione delle
sinagoghe la "notte dei cristalli" del 1938: quali
furono i rapporti tra Santa Sede e governo croato di Ante
Pavelic, che pure fu uno dei più feroci "manovali"
della "soluzione finale"?». Sull'ambiguità
dei «cattolici non ariani» seguono interrogativi
di carattere più generale. «E' possibile avere
accesso a documenti che ci illustrino quale era la visione
del Papa sulla Chiesa e il suo ruolo durante la guerra?».
E non manca una punta di polemica contro le continue richieste
che emergono dai documenti vaticani già pubblicati
circa il principio per cui si doveva intervenire per salvare
quelli che venivano definiti «cattolici non ariani»,
come erano chiamati gli ebrei convertiti. Il Vaticano chiede
infatti che si verifichi l'autenticità di quelle conversioni
prima di offrire il proprio intervento. Da dove veniva una
terminologia tanto ambigua? Come riflette i modi di pensare
della Chiesa nei confronti degli ebrei? Più in generale
la commissione di storici chiede di poter avere accesso ai
diari privati, le corrispondenze personali, i documenti che
non si trovano unicamente negli archivi della Segreteria di
Stato. «Per uno studio più attento si deve comprendere
come funzionava la macchina della Segreteria di Stato nel
suo insieme durante l'Olocausto», aggiunge Wistrich.
Si vorrebbe tra l'altro avere accesso alla corrispondenza
tra l'allora segretario di Stato, cardinale Luigi Maglione,
e Pio XII. «In ultima analisi solo apertura e trasparenza
potranno portarci a un giudizio storico più maturo»,
conclude il documento. «E sarebbe una pietra miliare
per porre fine a interrogativi trentennali e migliorare le
relazioni tra cattolici ed ebrei».
PIO XII: la psicologia del silenzio consapevole
di Dario Fertilio (dal
Corriere della Sera del 18 aprile 2000)
Un uomo solo, tormentato dal dubbio, chiuso
nella sua torre d'avorio vaticana ma anche in una prigione
psichica da cui non riusciva a evadere. E' questo il Pio XII
che emerge dalle pagine di Giovanni Miccoli: I dilemmi e i
silenzi di Pio XII è uno studio che coglie Papa Pacelli
da un'angolazione inedita, più mentale che documentaria.
Ed ecco ripresentarsi l'interrogativo di fondo: Pio XII sapeva
della Shoah, la strage degli ebrei a opera dei nazionalsocialisti?
Era, e fino a che punto, colpevole di connivenza con Hitler?
Prima di rispondere a questa cruciale domanda, Miccoli si
preoccupa di sottrarsi all'interminabile disputa degli ultimi
decenni: da quando venne polemicamente raffigurato in teatro
come «II Vicario», nel 1963, Papa Pacelli è
diventato segno di discordia. Davvero sapeva tutto sull'olocausto
degli ebrei e non volle rivelarlo, secondo l'accusa del drammaturgo
Rolf Hochhuth? Oppure non poteva parlare, perché altrimenti
avrebbe messo a repentaglio milioni di vite umane, come hanno
sempre sostenuto i suoi difensori (e più che mai oggi,
con un processo di beatificazione in corso?).
La risposta di Miccoli all'interrogativo principale
è affermativa: Pio XII certamente sapeva, come risulta
dai rapporti compilati dalla sua segreteria di Stato e da
espliciti riferimenti dei delegati apostolici all'estero (importante,
ad esempio, quello di monsignor Roncalli nel luglio '43 ai
«milioni di ebrei inviati e soppressi in Polonia»).
Del resto, il famoso messaggio di Natale del 1942, in cui
Pio XII «deprecò e compatì» le persecuzioni
razziali senza però esplicitamente condannarle, se
prova da un lato una opposizione al nazismo, conferma la conoscenza,
almeno per grandi linee, degli orrori che si stavano commettendo
nell'Europa Orientale. Il Papa, dunque, non poteva non sapere,
anche se probabilmente gli sfuggivano i particolari sugli
orrori di Auschwitz e l'entità numerica dell'Olocausto
(ma due milioni di morti non erano certo meno condannabili
di sei).
Miccoli però ci lascia intendere che
una cosa è sapere, un'altra agire. Il Papa che emerge
dalle sue pagine è prigioniero di un ambiente impreparato
ad affrontare l'enormità dell'Olocausto. Per motivi
anzitutto di tradizione culturale: il Vaticano si aggrappava
ancora al sogno di un'Europa cristiana, disposta ad ammettere
il primato spirituale del Pontefice. Respingere in blocco
la modernità, dunque, significava contrapporsi alla
perversa genealogia rivoluzionaria che veniva ricondotta a
Lutero e fatta risalire via via all'illuminismo, alla massoneria,
alla rivoluzione francese, al liberalismo e al socialismo:
tappe di un progressivo distacco dell'uomo da Dio.
Come logica conseguenza di questa visione ottocentesca
del ruolo pontificio, Pio XII riteneva di dover mantenere
un ruolo di «riserbo» e una posizione «sopra
le parti» nei confronti di tutti, Germania compresa.
Un coinvolgimento diretto, infatti, sarebbe stato incompatibile
con la missione di portatore della civiltà cristiana,
e avrebbe reso meno credibile qualsiasi opera di mediazione.
Con un'eccezione, tuttavia: il comunismo. A differenza del
Reich hitleriano, l'Unione Sovietica veniva ricondotta senza
eufemismi al campo nemico della cristianità. Miccoli
rileva questa duplicità di atteggiamento attraverso
i notiziari dell'Osservatore Romano: le violenze commesse
dai comunisti, nei territori di occupazione sovietica, venivano
documentate e denunciate nei particolari, mentre le atrocità
nazionalsocialiste erano pudicamente minimizzate. Naturalmente,
contava la preoccupazione del Papa per i quaranta milioni
di cattolici tedeschi: infrangere la linea di neutralità
avrebbe significato esporli a probabili ritorsioni da parte
di Hitler.
Ma anche tenendo conto di queste legittime
cautele, come spiegare il «doppiopesismo» di Pio
XII, visto che dalla Germania veniva uno stillicidio di denunce
da parte dei cattolici: violazioni del Concordato, soprusi,
spoliazioni, manomissioni di chiese, seminari e conventi,
scioglimenti di associazioni cattoliche. Anche qui Miccoli
si avventura sul terreno psicologico, parlando di una «speranza
contro ogni speranza», tenacemente nutrita dal Vaticano
e forse indirizzata all'auspicabile futuro di una Germania
postnazista. Ma colpisce anche la descrizione di quel «velo»,
quella specie di «fascinazione autoritaria» che
il Papa e i suoi collaboratori avrebbero subito al cospetto
dei funzionali del Reich: impeccabili, aristocratici, autoritari
essi sembravano incarnare quel ruolo di «baluardo»
nei confronti del caos bolscevico cui Pio XII credeva fermamente.
Un abbaglio colossale, spiegabile appunto con l'incapacità
culturale di capire il totalitarismo novecentesco. Qui però,
nell'anticomunismo elevato a ideale, risalta anche una dimensione
differente di Pio XII: quella politica. Il Papa sentiva l'incombere
della minaccia sovietica tanto più pericolosa, in quanto
le potenze occidentali di antica cultura cristiana si sarebbero
dissanguate nella guerra. Con in più una considerazione
non priva di suggestione: se avesse condannato apertamente
il nazismo, avrebbe dovuto fare altrettanto con il comunismo.
Ma allora avrebbe messo in imbarazzo proprio gli occidentali,
che guardavano a Mosca come a una preziosa alleata contro
Hitler.
E così, fra angosce e contatti segreti,
si consumò il «silenzio» del Vicario. Anni
terribili, destinati a lasciare aperti interrogativi pesanti.
Miccoli non pronuncia una sentenza di condanna, né
di assoluzione. Quanto a Pio XII, la sua figura appare più
che mai quella di un uomo che, se tacque, portò su
di sé il peso di quel terribile silenzio.
II saggio: Giovanni Miccoli, «I dilemmi
e i silenzi di Pio XII», Rizzoli, pagine 570, lire 38.000
Ma perché Golda Meir e il rabbino
Toaff lo consideravano un servitore della pace?
di Michele Brambilla
(dal Corriere della Sera del 18 aprile 2000)
Secondo Giorgio Rumi, docente di storia contemporanea
alla Statale di Milano, e c'è un mistero nelle accuse
contro Papa Pacelli. «Fino al 1963 - dice Rumi -, fino
al dramma teatrale II Vicario, molti esponenti del mondo ebraico
avevano più volte ringraziato Pio XII per il suo comportamento
nella seconda guerra mondiale. Poi, sono arrivate le accuse
di "silenzi", se non addirittura di complicità.
Perché? Perché la storiografia è cambiata?
E' una domanda che rimane aperta».
Per capire la portata di questa inversione
di tendenza, è utile rileggere cosa scrissero alcuni
rappresentanti del mondo ebraico il 9 ottobre 1958, alla morte
di Pacelli. Sono i messaggi che allora vennero diffusi pubblicamente,
ma che oggi sembrano dimenticati. Si possono ritrovare, fra
l'altro, nel libro Nascosti in convento di Antonio Gaspari
(Ancora, pp. 139, L. 20.000). Qualche esempio. Scrisse Golda
Meir, ministro degli Esteri di Israele:
«Condividiamo il dolore dell'umanità
per la morie di Sua Santità Pio XII. [...] Durante
il decennio del terrore nazista, quando il nostro popolo è
stato sottoposto a un terribile martirio, la voce del Papa
si è levata a condanna dei persecutori e a pietà
per le loro vittime. [...]Noi piangiamo un grande servitore
della pace».
Il rabbino Jacob Philip Rudin, presidente della
Centrale Conference of American Rabbies, scrisse: «La
Conferenza centrale dei rabbini americani si unisce con profonda
commozione ai milioni di membri della Chiesa cattolica romana
per la morie del Papa Pio XII [...] una voce profetica per
la giustizia dovunque». E il rabbino capo di Londra,
Brodie: «Noi della Comunità ebraica abbiamo ragioni
particolari per dolerci della morie di una personalità
la quale, in ogni circostanza, ha dimostrato coraggiosa e
concreta preoccupazione per le vittime della sofferenza e
della persecuzione». E infine Elio Toaff, rabbino capo
di Roma: «Più di alcun altro abbiamo avuto occasione
di sperimentare la grande compassionevole bontà e magnanimità
del Papa durante gli anni infelici della persecuzione e del
terrore, quando sembrava che per noi non ci fosse più
alcuno scam pò». Così si diceva nel 1958.
E ancora nel 1967, nel suo libro Three Popes and the jews,
lo storico Emilia Pinchas Lapide, già console generale
di Israele a Milano, scriveva: «La Santa Sede, i nunzi
e la Chiesa cattolica hanno salvato da morie certa tra i 700.000
e gli 850.000 ebrei». Eppure, su Pio XII oggi infuria
la polemica.
Pio XII voleva abdicare, ma resistette alla
malattia
(da Il Giorno 12 gennaio 2000)
CITTA' DEL VATICANO Pio XII, scomparso
il 9 ottobre 1958 dopo diciannove anni di pontificato, fu
sul punto di lasciare il trono di San Pietro. Accadde nel
1954, quando le condizioni di salute del pontefice (che da
tempo soffriva di una grave malattia allo stomaco), si aggravarono
improvvisamente. E ai suoi più stretti collaboratori,
Eugenio Pacelli fece presente di essere pronto ad abdicare
nel caso in cui non avesse trovato giovamento dalle cure.
Ad accertare la volontà del pontefice di dimettersi
sono stati i vari processi canonici istruiti durante la causa
di beatificazione di Pio XII, avviata da papa Paolo VI nel
1965. Più testimoni, tutti stretti collaboratori vaticani
di Pio XII, hanno testimoniato sotto giuramento la volontà
di Pacelli di lasciare la guida della Chiesa nel caso in cui
le sue condizioni fisiche non gli avessero più consentito
di reggere il peso delle enormi responsabilità. Lo
ha rivelato padre Peter Gumpel, relatore della causa che dovrebbe
portare Pacelli all'onore della gloria degli altari, precisando
però che gli atti non sono ancora di dominio pubblico.
Morto il gesuita Robert Graham, storico del
Vaticano
Di Luigi Accattoli (Dal
Corriere della Sera del 14 febbraio 1997)
E' morto padre Robert Graham: storico gesuita,
forse il miglior conoscitore degli archivi diplomatici riguardanti
la Seconda guerra mondiale. Ha passato un ventennio nell'Archivio
vaticano, dove ha raccolto (insieme con altri tre storici
gesuiti: Angelo Martini. Pierre Blet e Burkhart Schneider)
un immenso materiale che ha pubblicato in undici volumi intitolati
Actes et documents de la Sainte Siege relatift a la seconde
guerre mondiale. Inoltre padre Graham ha compiuto missioni
esplorative negli archivi di Usa. Gran Bretagna. Germania,
Francia e Russia, scrivendone per un trentennio sulla rivista
dei gesuiti Civiltà cattolica. Alto. magro e burlone,
padre Graham ha giocato sempre in difesa per obbedienza ai
superiori, ma di suo avrebbe avuto piuttosto lo spirito dell'incursore.
Cercava documenti in difesa della Chiesa, ma non nascondeva
ciò che trovava anche se risultava utile alla polemica
anticattolica. Nato a Sacramento, in California, nel 1912
fu chiamato a Roma nel 1966 dal pontefice Paolo VI. che gli
affidò quella ricerca sulla Santa Sede durante la Seconda
guerra per rispondere alle accuse lanciate in un dramma di
Rolf Hochhuth, Il Vicario, sul "silenzio" di Pio
XII di fronte allo sterminio degli ebrei. Negli Stati Uniti
lo storico gesuita era tornato il giugno scorso.
1939, scontro in Vaticano su
Hitler
IL CASO. Ritrovata in Francia un'enciclica
di Pio XI contro le leggi razziali
Di Gianni Marsilli (Da
lUnità del 4 ottobre 1995)
PARIGI. Uno dei grandi misteri di questo secolo
riguarda l'atteggiamento della Chiesa cattolica rispetto all'antisemitismo.
I silenzi di Pio XII sull'Olocausto, l'antigiudaismo religioso,
il privilegio attribuito al nazifascismo per la sua funzione
anticomunista e il rifiuto di aprire a storici e ricercatori
l'accesso alle fonti sono ancora una cortina fumogena sulla
vera storia del Vaticano negli anni '30 e '40, A gettare un
fascio di luce, il più importante finora, arriva un
libro-inchiesta (L'Encyclique cachée de Pie //, ed.
La Découverte) redatto con mille fatiche da due storici
belgi: Bernard Suchecky, docente a Bruxelles e a New York,
e Georges Passelecq, monaco benedettino, ex-deportato, segretario
della Commissione cattolica belga per i rapporti con il giudaismo.
I due ricercatori hanno lavorato per dieci anni attorno all'enciclica
"nascosta", quell'enciclica che Pio XI commissionò
nel '38 a tre gesuiti e che avrebbe dovuto trattare proprio
del razzismo e dell'antisemitismo, sotto il titolo Humam generis
unitas, e che non vide mai la luce Pio XI morì nel
'39 e il suo successore Pio XII tenne l'enciclica ben chiusa
nel cassetto. Si potè leggerne qualche stralcio solo
nel '70 sull'americano Nationai Catholic Reporter, poi più
nulla. Il merito principale dei due storici belgi è
di avere reperito, in versione francese, un testo integrale
microfilmato negli Stati Uniti e di renderlo finalmente pubblico.
Nel '38 il cardinale di Vienna lnnitzer accoglieva a braccia
aperte Hiller nell'Austria annessa e la Germania nazista si
apprestava ad invadere Cecoslovacchia e Polonia. Pio XI aveva
già manifestato lei sua profonda inquietudine per l'aggressività
dei nazional-socialismo. In precedenza aveva definito il comunismo
come "intrinsecamente perverso", ma si era accorto
da un pezzo che nazismo e fascismi i portavano in sé
i germi mortali de! razzismo e dell'antisemitismo e che nessuna
lotta al bolscevismo poteva più giustificare compiacenze
verso i disegni hitleriani. Avvertiva, per la Chiesa, l'esigenza
di riaffermare il principio evangelico del rispetto per l'uomo,
ogni uomo di qualsiasi razza e colore. Aveva confidato la
sua angoscia a un gesuita americano, John La Farge, in un
colloquio il 22 giugno del '38. La Farge era uno specialista
della questione razziale negli Stati Uniti e Pio XI. già
ottantenne, gli affidò la redazione dell'enciclica.
Per prepararla La Farge si avvalse del contributo di altri
due gesuiti: il tedesco Gustav Gundiach e il francese Gustavo
Desbuquois, ambedue specialisti di dottrina sociale della
Chiesa. Lavorarono tre mesi, e consegnarono il frutto delle
loro fatiche al loro superiore a Roma, il padre Wladimir Ledochowski,
perché lo facesse pervenire al Papa. Ma il notabile
gesuita perse tempo, ordinò un "supplemento d'istruttoria".
Il 10 febbraio del '39 Pio XI morì: aveva visto l'enciclica?
Sì. dissero le gerarchie gesuite ai tre redattori due
mesi dopo, ma il suo successore non aveva avuto ancora il
tempo di leggerla. I tre sentono odor di insabbiamento, parlano
di "sabotaggio" malgrado il dovere di riserbo e
obbedienza. Un Papa non è vincolato dai progetti del
suo predecessore. E Pio XII, che aveva scambiato calorosi
messaggi con Hitler, lasciò nell'ombra l'enciclica
voluta da Pio XI. L'enciclica condannava in termini durissimi
l'antisemitismo "razziale", e implicitamente le
leggi speciali vigenti in Germania e in Italia, in nome "dell'unità
del genere umano". Conservava invece l'antigiudaismo
religioso proprio della Chiesa cattolica, citando San Paolo
e tutta la teologia della "sostituzione" a cominciare
da quella del Nuovo Testamento al posto del Vecchio. Manifestava
infine tolleranza per l'antigiudaismo "sociologico",
vale a dire il diritto di "combattere con mezzi morali
e legali" l'influenza del "giudaismo economico e
intellettuale", come aveva scritto il Padre Gundiach
già nel 1930 in un articolo. L'enciclica va collocata
nel contesto di quella vigilia di guerra. La condanna da parte
del Vaticano delle leggi antiebraiche avrebbe avuto grande
risonanza e avrebbe risvegliato molte coscienze addormentate.
Hitler e Mussolini avrebbero dovuto far fronte ad una difficoltà
in più, e non certo delle minori. Ma Pio XII, per il
quale il bolscevismo restava il vero nemico da arginare e
abbattere, ritenne di celare l'enciclica. A dire il vero ne
utilizzò ampi stralci nella sua prima enciclica nell'ottobre
del 39, la Summi pontificatus. Ma la epurò di ogni
riferimento all'antisemitismo e agli ebrei.
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