LA GIOIA DEL CREDENTE
di Giacomo Coccolini
«La questione-del-senso dunque è la questione
che dovrebbe maggiormente stare a cuore
alla teologia moderna e della quale
forse in misura maggiore dovrebbe interessarsi
anche la scienza non-teologica»
M. Horkheimer, La nostalgia del totalmente
altro, p. 113
Dove sta andando la teologia contemporanea?
Che senso ha, oggi, alla fine del secondo millennio, portare
avanti una riflessione teologica che possa essere all'altezza
dell'epoca che stiamo vivendo e, contemporaneamente, capace
di farci uscire da quel cinismo esasperato che sembra essere
la nota caratteristica di fine secolo?
[1]
Questa è la domanda che nasce spontaneamente ascoltando
uno dei 'grandi vecchi' della teologia di questo secolo -
padre Edward Schillebeeckx (cfr. scheda bio-bibliografica). Ha fatto parlare molto
di sè in questi anni - a partire dalla pubblicazione nel 1966
del «Nuovo catechismo olandese» fino ad arrivare ai vari processi
in cui è incorso a Roma per chiarire alcuni punti dogmatici
controversi della sua ricerca teologica. E' venuto in questi
giorni, paradossalmente qui a Roma, a presentare due testi
appena pubblicati in italiano: Umanità. La storia di Dio,
uscito nel 1989 in Olanda e tradotto nel 1992 dalla Queriniana
nella Biblioteca di teologia contemporanea (n. 72); e Sono
un teologo felice. Colloqui con Francesco Strazzari - il risultato
di un'intervista tenuta per alcuni giorni a Nimega (Paesi
Bassi), edita dalle edizioni Dehoniane di Bologna.
Padre Schillebeeckx, dopo aver lungamente riflettuto
alla fine degli anni '60 sull'impatto e sugli effetti della
secolarizzazione nel mondo contemporaneo e nella coscienza
credente, ha fatto della costante correlazione tra problematicità
dell'esistenza umana e fede cristiana il pungolo della sua
ricerca teologica
[2]
. La teologia cristiana per lui non è semplicemente
uno spettro di riflessioni o di analisi 'dedotte' dal patrimonio
della fede, ma si dà solo come
ricerca tramite un costante ed insonne dialogo tra il depositum
fidei e i problemi e le angosce dell'uomo contemporaneo -
secondo la lezione fatta valere dal Concilio Vaticano II.
In questo senso la sua ricerca teologica è stata
giustamente interpretata come ermeneutica dell'esperienza
cristiana; essa, non rinuncia all'umano nè, tanto meno, fa
di questo un momento dialetticamente già-da-sempre superato
dalla rivelazione cristiana ma ritrova nei vari progetti
antropologici di liberazione elaborati con mano autonoma
dall'uomo una «tematizzazione di un'esperienza universale
di ricerca di senso che rimanda ad un orizzonte di pienezza
di umanità e di integrità umana (il souhaitable humanine secondo
la formulazione di Ricoeur)»
[3]
. Una volta accettata positivamente la secolarizzazione
come l'esperienza dell'uomo (post)-moderno che vive in un
«mondo diventato adulto» (Bonhoeffer) e per il quale il Vangelo
deve essere letto 'mondanamente'
[4]
, Schillebeeckx ha comiciato ad interrogarsi sul
posto che la Chiesa occupa in questa nuova situazione, specialmente
là dove il mondo risulta «pieno di sensi e di non sensi, di
fortuna e di svenutura» e sul limitare del ventunesimo secolo
è scosso da nuovi olocausti»
[5]
. E' in tale mutato panorama - ha affermato Schillebeeckx
- che la chiesa deve riflettere sul volto che vuole assumere
per continuare ad essere un segno credibile di speranza:
«In tale situazione critica ed ermeneutica, quale è il compito
della chiesa, delle nostre comunità cristiane? Fino a che
punto la chiesa stessa vive l'incertezza, la precarietà in
una situazione nella quale lei pure si trova immersa?». La
teologia di questo 'grande vecchio', profondamente «contestuale»
[6]
, sembra oggi attardarsi sulle "cose penultime",
preoccupata di intendere il volto dell'epoca attuale, perchè
sulle "cose ultime" si deve restare in silenzio,
«devono restare non dette». Per lui, l'esperienza dell'uomo
d'oggi va radicalmente indagata - secondo il motto della fenomenologia:
«ritorno alle cose stesse» !!! -, va osservata con occhio
vigile, aperto, appassionato. Al di là dei pregiudizi e
degli schemi di comodo, essa pare presentarsi brulicante
«di contraddizioni e sofferenze», disordinata e qui l'uomo
vive facendo l'esperienza originaria dell'indignazione. Essa
non è riconducibile né al pessimismo dato da una situazione
irrisolvibile né al disfattismo più cinico ma si fonda su
una sorta di intuizione che ciascuno possiede e che si esprime
come «veto irresistibile degli uomini contro l'inumano nel
mondo»
Mediante questa indignazione, all'uomo si manifesta
una «seconda dimensione», una «prospettiva positiva» da cui
guardare l'esistenza, il mondo, la storia: «questo rifiuto
umano della disumanità rivela inoltre un'apertura a una situazione
nuova che avrà, essa sì, diritto al nostro "sì"
di approvazione. (...) Questa dimensione rivela l'aspettativa
positiva che il nostro mondo sia "migliorabile",
(...) una fede nell'umanità dell'uomo». Anche se il senso
globale della storia sembra sfuggire all'uomo, anche se «questa
storia può perdurare priva di senso ultimo» - questa è l'esperienza
fattuale di ogni giorno - proprio l'indignazione, nel suo
esserci qui ed ora, «palesa un non-compiuto, un non-esaurito,
un vuoto in attesa di pienezza, e dunque un "sì aperto",
tanto incrollabile quanto il "no" o il veto, anzi
ancor più, poichè tale "sì aperto" fonda il "no"
all'inumanità e lo rende possibile»
[7]
.
Quest'esperienza di una speranza piantata nel
cuore dell'uomo, di una speranza capace di andare al di là
di ogni «sofferenza manifesta o segreta» - afferma Schillebeeckx
- è profondamente umana, comune al credente e all'agnostico
e, confermata dalla storia delle religioni dell'umanità,
è il luogo su cui basare la solidarietà «di tutti con tutti»
in vista di una distruzione di quel disumano che pare la
realtà. «Chi crede in Dio - dice Schillebeeckx - conferisce a questa esperienza a due facce un
contenuto di tipo religioso. In tal modo il 'Sì aperto' viene
ad assumere un più preciso orientamento e rilievo. La sua
origine non è vista tanto, od almeno non è vista direttamente,
nella trascendenza del 'Divino' (ineffabile e anonimo, inesprimibile
in parole), quanto piuttosto (se non altro per i cristiani)
nel volto umano di questa Trascendenza, così come ci è apparsa
nell'uomo Gesù, che noi confessiamo come Cristo e Figlio
di Dio»
[8]
. Ma che cos'è questa esperienza, almeno da un
punto di vista umano, se non il sintomo del bisogno di cambiamento
«radicale e definitivo»? E, da un punto di vista cristiano,
che cos'è questa «esperienza contraddittoria fondamentale
e il connesso rifiuto dell'ingiustizia, al pari della prospettiva
aperta su qualcosa di migliore» se non il rimando a quella
storia della salvezza in cui, «benchè sempre attraverso la
mediazione degli uomini e di altri fattori terreni», si compie
la storia della liberazione e della salvezza dell'uomo? In
questo senso, non a caso, Schillebeeckx ha affermato, riprendendo
ciò che un ragazzo ebbe a dirgli un giorno, che «gli esseri
umani sono le parole di cui Dio si serve per raccontare la
sua storia».
Quello che la chiesa oggi è chiamata ad annunciare,
secondo padre Schillebeeckx, è una salvezza che riguarda 'tutto
l'uomo', spirito, anima e corpo, in quell'unitarietà che caratterizza
l'antropologia cristiana. «Quattro grandi simboli della tradizione
ebraica e cristiana ci suggeriscono la direzione in cui i
cristiani devono cercare per intuire quanto Dio sogna per
l'avvenire dell'umanità (corsivo nostro), affinchè uomo e
donna vivano finalmente felici in mezzo alle altre creature»:
il simbolo del Regno di Dio; la risurrezione della carne;
la metafora biblica dei nuovi cieli e della nuova terra; l'unicità
della figura di Gesù Cristo. Tali metafore traducono il fondamento
meta-etico dell'impegno etico dei cristiani nel mondo. Proprio
perchè «parlare di Dio non riceve il suo senso pieno se non
nel quadro della prassi del regno di Dio»
[9]
, la chiesa è chiamata a diventare testimone della
storia di Dio, non comprimendosi la salvezza in un regno meramente
spirituale o in un futuro solo celeste, ma aprendosi e rivolgendosi agli altri: all'umanità che vive
nel mondo
[10]
.
[1]
Basterebbe leggere l'analisi del cinismo
contemporaneo fatta da P. Sloterdijk, Critica
della ragione cinica, Garzanti, Milano 1990.
[2]
Così Rosino Gibellini ha sintetizzato
la teologia di E. Schillebeeckx in Teologia e esperienza in La teologia del XX secolo, Brescia 1992,
pp. 345-370. Con prospettiva diversa è intervenuto B. Mondin,
Edward Schillebeeckx
in Dizionario dei
teologi, Bologna 1992, pp. 530-539. Un discorso particolareggiato
meriterebbe fosse fatto sui 'presupposti filosofici' della
teologia di Schillebeeckx che così decisamente, a nostro
parere, incidono nel suo farsi! Ma qui non si vuole fare
un riassunto della teologia di Schillebeeckx la quale, come
ogni costruzione intelligentemente umana, prima di essere
criticata, va affettivamente
intesa!
[3]
R. Gibellini, La
teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia 1992, p.
352.
[4]
D. Bonhoeffer, Resistenza
e resa, Ed.Paoline, Milano 1988, pp. 354-356 (lettera
a Eberhard Bethge del 5 maggio 1944). Cfr. anche P. van
Buren, Il significato
secolare dell'Evangelo (1963), Gribaudi, Torino 1969.
[5]
Le citazioni che d'ora in poi faremo
sono state tratte dal testo letto da p. Schillebeeckx in
occasione della presentazione fatta a Roma il 26 maggio
1993 del libro intervista Sono un teologo felice (EDB, Bologna 1993).
Ringraziamo qui p. A. Filippi per averci fornito il testo
letto da Schillebeeckx in francese e ricordiamo che è ora
disponibile con il titolo La felicità del credente in Il
Regno Attualità (15 giugno 1993), n. 707, pp.325-329.
[6]
E. Schillebeeckx, Sono
un teologo felice, p. 86.
[7]
Sulla questione cfr. l'introduzione al volume Umanità. La storia di Dio, spec. pp. 20-21.
[8]
Umanità.
La storia di Dio, p. 21.
[9]
Umanità.
La storia di Dio, pp. 185
sgg. Cfr. ultimamente M. de Certeau, Mai senza l'altro, Ed. Qiqajon (Comunità
di Bose), Magnano 1993
[10]
Sono da leggere le considerazioni svolte
da Schillebbeckx in La
chiesa ha ancora futuro? in Umanità.
La storia di Dio, pp. 299-305.