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"Imagine
the World"
Immagina un Paradiso
di Massimo
Zambelli

Oggi è il giorno giusto
per parlare dell’importanza della Pasqua
di Gesù Cristo lasciandosi
provocare da “Imagine”,
lo sfruttatissimo “vangelo ateo”
di John Lennon.
E’ Sabato santo. Il giorno
del silenzio di Dio. Del tuttomondo. Ieri
abbiamo cacciato il Messaggero fuori dal perimetro
del Solo-mondo. Non faceva per noi. La grande
occasione è andata perduta. E ora il
suo silenzio ci avvolge; la sua assenza permea
l’intera natura e cultura. Oggi è
il giorno che più somiglia, in occidente,
a tutti i giorni. Perché la nostra
patria, da lungo tempo, non è altro
che un esteso Sabato santo. Un immenso intermezzo
tra il venerdì della miserabile sofferenza
e la domenica della gioia perenne.Nei luoghi
dove la miseria domina la vita, l’uomo
si sente immerso nel Venerdì santo;
ma da noi anche la “domenicalità”
è lontana e talmente offerta a sprazzi
che sembra non far testo. Noi ci siamo adattati
a una vita piena di cose e in crisi di senso:
un perfetto, sazio e vuoto Sabato santo.
Forse Dio ci prova a bucare
con miracoli il silenzio che gli abbiamo imposto;
forse tenterà di aggirare con qualche
apparizione l’embargo del sacro a cui
lo abbiamo costretto; certamente cercherà
di far capolino sull’inflessibile “No
God zone” mediante illuminazioni, carismi,
segni personali. Ma a noi interessa
il quotidiano. La banalità
del tran tran. Perché sarebbe troppo
facile inchinarsi davanti al sole che rotea
attorno a un viso sorridente apparso nel cielo
durante una manifestazione sindacale. L’uomo
della “terra del tramonto” vuole,
se proprio bisogna, un Dio feriale, rintracciabile
nelle pieghe del mondo che ama e odia insieme.
E siccome l’uomo occidentale non è
più allenato a decifrare i segni del
creatore e le tracce del redentore decide
che questo silenzio da orfani deve rimanere
tale. Bisogna arrangiarsi. Imparare a vivere
senza più aspettarsi niente dal cielo.
Senza più cercare. “Nessuna domanda,
perché non c'e' nessuna risposta”,
come ho letto su internet nell’autopresentazione
di un giovane poeta.
La sfida di "Imagine"
Ed è qui che si inserisce
il “vangelo ateo” di John
Lennon.
“Imagine” (testo
integrale) inizia lanciando una sfida
non solo postpasquale, che cioè viene
dopo e si ispira alle grazie ricevute da Cristo,
ma anche decisamente antipasquale: “Immagina
non ci sia il Paradiso / prova, è facile”.
Niente panico, in fondo è una canzone
d’amore per questo mondo, che auspica
la pace mondiale e sogna un’era felice
per l’umanità; a certe condizioni
però: che non ci siano Paradiso e inferno
e religioni. In questo senso è atea.
La sua utopia è radicalmente immanente
e sfida il vangelo cristiano, il lieto annuncio
di Cristo che ha riaperto la via verso il
Padre, verso il Giardino del tempo (paradeisos
in greco = giardino). La filosofia di Lennon
in “questa canzone” (non posso
dire delle altre) ha scelto di amputare il
presente delle dimensioni del futuro (paradiso
e inferno) e del passato (le tradizioni delle
religioni) per vivere in un presente assolutizzato.
E dire che musicalmente è
una canzone molto bella e coinvolgente. Nell’ascoltarla
viene voglia di sventolare nell’aria
la fiammella di un accendino (se di notte)
o un fazzoletto colorato (se di giorno) e
di dondolarsi all’unisono con il vicino,
considerandolo, almeno finché durano
le note, “fratello di suono”.
Se non fosse per quella chiusura “senza
se e senza ma” al trascendente sarebbe
anche abbastanza condivisibile. Il testo è
a favore della pace e di un mondo unito; auspica
una terra senza confini e religioni “per
cui uccidere e morire”; invita la gente
a vivere senza possesso, avidità e
rabbia, e spera che il mondo diventi “uno”
(l’antenato dei no-global è iperglobale?).
Forse sono queste le ragioni che hanno consentito
di farla risuonare durante la festa conclusiva
del Congresso eucaristico nazionale,
tenutosi a Bologna nel 1997, davanti al Papa,
al Card. Biffi e a vari alti prelati, in diretta
televisiva. Con un piccolo trucco (le parti
più discutibili cantate in inglese
e il resto in italiano) è stato mimetizzato
il proponimento del testo. O forse è
stata una semplice “gaffe” e un
autogol mediatico: la chiesa che si fa megafono
di un annuncio che auspica un mondo senza
religione e senza aldilà.
In compagnia di Dostoevskij
Il Sabato santo, il “tutti
i giorni” occidentale, è un mondo
orfano che ha per compagnia la cruda consapevolezza
della propria contingenza e mortalità.
Le chiese sono vuote. Gli altari spogli. Le
campane tacciono. Davanti alla morte, unica
guardiana del loro nome, gli uomini possono
ora tentare di abbracciarsi solidali. Un sogno,
questo, che fa del vivere qui e ora, chiusi
a Dio e all’Aldilà, la condizione
per raggiungere la fraternità universale.
Un tentativo che già Dostoevskij
lo aveva magnificamente raccontato nei suoi
romanzi, come lo sottolinea il teologo Henri
de Lubac nel suo libro da meditare
con attenzione “Il dramma dell’umanesimo
ateo” (testo).
Dice De Lubac parlando del
romanzo di Dostoevskij “L’Adolescente”:
«Versilov non ha mai
potuto immaginarsi gli uomini ingrati ed
imbestialiti. Divenuti orfani, che faranno
essi se non serrarsi gli uni contro gli
altri, prendersi le mani sapendo ormai che
essi sono tutto gli uni per gli altri? Con
Dio, anche l'immortalità li ha abbandonati.
E per questo “tutto quel grande eccesso
di amore” che era orientato verso
l'aldilà, troverà forse ora
il suo oggetto sulla terra? Non lavoreranno
essi tutti gli uni per gli altri, consolandosi
a vicenda, ciascuno facendosi tutto a tutti?
Versilov continua il suo sogno:
“Ogni ragazzo sentirebbe
che ogni uomo sulla terra è per
lui un padre e una madre. «Che domani
sia il mio ultimo giorno, ciascuno si
direbbe guardando il sole morente, poco
importa: essi resteranno e dopo di essi
i loro figli»; e questo pensiero
che resteranno, continuando ad amarsi
e a tremare gli uni per gli altri, sostituirebbe
l'idea dell'incontro d'oltre tomba! Oh,
come si affretterebbero ad amare per soffocare
la grande angoscia del loro cuore! Essi
sarebbero fieri ed arditi per se stessi,
ma timidi per gli altri; ciascuno tremerebbe
per la vita e per la felicità di
ognuno. Incontrandosi, si guarderebbero
con uno sguardo profondo, pieno di comprensione,
e nei loro sguardi ci sarebbe amore e
dolore”.
...Ahimé! ... Versilov,
O piuttosto Dostoevskij, interrompe il suo
sogno, Improvvisamente egli comprende che
non è altro che una fantasia «e
delle più inverosimili». In
altra parte egli ha visto cosa diventano
gli uomini orfani. Si tratta ancora di un
sogno, un sogno di Raskolnikov, all'ospedale
del bagno; ed è un sogno nel suo
modo più abituale…»
Rimando il seguito della lettura
alle pagine di De Lubac (testo),
per me avvincenti in quanto a lucidità
e bellezza. Per sfatare questo sogno dei "buoni
e ingenui" Lennon e
Versilov, che danno voce
a una perenne tentazione dell’uomo orfano
di Dio, basta ricordare come è morto
lo stesso Lennon, o leggere
le cronache quotidiane che riportano l’infinita
litania di delitti, e chiedersi se davvero
si è disposti a credere (altro che
fede dogmatica della chiesa, questa) nella
bontà autogovernabile degli uomini.
Basta inoltre dare credito al dubbio di Dolgoroki,
l'eroe de " L'Adolescente"
di Dostoevskij, sulla plausibilità
dell’armonia futura quando di fronte
a l’intero cosmo si staglia la morte
termica:
“Forse io varrò
servire l'umanità e la servirò,
forse anche dieci volte meglio di tutti
i predicatori. Solo che io non voglio che
nessuno mai esiga da ne questo servizio...
Voglio che la mia libertà resti intera,
anche se non muovo neppure il dito mignolo...
E perché dovrei io amare il mio prossimo
od anche la vostra umanità futura,
che io non vedrò mai, che mai mi
conoscerà, e che a sua volta scomparirà
senza lasciare di sé tracce né
ricordi (il tempo non serve a nulla al proposito).
allorché la terra si muterà
a sua volta in un blocco di ghiaccio e volerà
nello spazio senza aria con una moltitudine
infinita di altri simili blocchi, cosa che
certamente e la più assurda che mai
si possa immaginare?”
Pensare che non c’è
Dio, né immortalità della persona,
né futuro di vita per il mondo, invece
che renderci solidali e altruisti è
molto più probabile che ci porti ad
essere egoisti e menefreghisti. Se tutti fossimo
veramente convinti che il gelo termico è
il destino che ci aspetta, l’immagine
più veritiera che sintetizza le relazioni
umane sarebbe il "saccheggio".
La redenzione necessaria
Il Sabato santo non
può bastare. L’orizzonte
chiuso, lo sguardo fisso sul qui e ora, non
servono al progresso. Perché ci sia
sviluppo è necessario un pensiero di
contrasto che aiuti a discernere nel presente
cosa va tenuto e cosa cambiato. Se il mondo
è tutto qui lo si deve accettare direi
quasi idolatricamente. Ogni evento che si
presenta è sensato che ci sia. Tutto
è necessario. Il male, il bene, l’assassinio
e l’aiuto, la formica che zampetta ed
il virus Sars. Se il mondo è tutto
qui, esso è Sacro, intoccabile, indiscernibile
(con quale criterio?). Se il Sabato santo
è la condizione dell’Occidente,
il suo “tutti i giorni”, questi
dovrà, per estrema coerenza, accettarlo
in blocco, accogliendo il Pan-teismo degli
enti e degli eventi. Ogni cosa è divina,
il mondo è un Tutto-Dio. Diventa impossibile
a queste condizioni scegliere, valutare, giudicare,
tenere, gettare, trasformare, evolvere, sviluppare.
Non c’è niente da sviluppare.
Perché c’è solo il presente.
Un sacro qui e ora in cui ciò che appare,
sia come sia, non ha niente da invidiare rispetto
al futuro. Si sviluppa e progredisce solamente
ciò che ora è incompleto. Ma
chi giudica che è incompleto? Rifiutando
il Futuro Redento, coglibile dentro di sé
o in una Profezia storica, si rigetta la possibilità
di essere uomini, persone in crescita. Fine
della nostra civiltà.
Lo aveva capito l’ateo
di origine ebraica T. W. Adorno,
fondatore della Scuola di Francoforte, che
stando alla testimonianza dell’amico
Horkeimer ha concluso i suoi
giorni aprendosi a una ipotesi teista, e che
nell’ultimo, splendido, pensiero del
suo acrobatico “Minima moralia”
(testo integrale)
ha scritto:
«La filosofia, quale
solo potrebbe giustificarsi al cospetto
della disperazione, è il tentativo
di considerare tutte le cose come si presenterebbero
dal punto di vista della redenzione.»
Una filosofia altissima che
trova consonanza con la rivelazione cristiana,
chiamata tra l’altro alle sue origini,
dai Padri apologisti, “la filosofia”.
Ma non voglio qui appropriarmi di compiti
del pensiero. Sono infatti convinto che il
semplice pensare sia un’azione trascendente.
Non è trascendente solo l’eventuale
contenuto dell’agire pensante ma quello
stesso agire. Vedere una cosa e conoscerla
è già sottrarsi, come sentiremo,
per un soffio dall’immanenza del mondo.
Prosegue Adorno:
«La conoscenza non
ha altra luce che non sia quella che emana
dalla redenzione sul mondo: tutto il resto
si esaurisce nella ricostruzione a posteriori
e fa parte della tecnica. Si tratta di stabilire
prospettive in cui il mondo si dissesti,
si estranei, riveli le sue fratture e le
sue crepe, come apparirà un giorno,
deformato e manchevole, nella luce messianica».
Qui risulta nell’evidenza
più luminosa la fondamentalità
di un pensiero e di un agire “bagnato
messianicamente”.
La religione cristiana che
annuncia la Redenzione pasquale del mondo
è assolutamente necessaria
al mondo. Lo scarto del “diventare”,
del "saremo così" che la
Pasqua di Cristo anticipa nel suo corpo, produce
evoluzione, decisione, scelta, libertà
quindi, crescita, giudizio, senso e direzione.
L’Omega del mondo tira l’Alfa.
Il Destino genera movimento e processualità.
La Forma definitiva del tempo mostra la deformità
del frattempo. Il dissesto che il Giardino
aperto, il Paradiso, provoca nella landa desolata
del mondo che si riflette in esso, permette
e libera il dissenso, il no del giusto agire.
Niente Paradiso e inferno e religione? Solo
chi ama il mondo ingessato e l’idolatria
del presente, comunque esso si presenti, può
pensarlo e desiderarlo. Pensa così
solo chi non sa riconoscere, ingenuamente
o maliziosamente, il debito verso la Redenzione
perfino nei propri utopici sogni.
Adorno quando
scriveva queste parole non era ufficialmente
credente. Eppure era cosciente di un compito
e di un’esigenza che lo avvicinava moltissimo,
secondo me, al fuoco pasquale. Da
dove prendere questo sguardo messianico?
E’ una finzione retorica o esprime qualcosa
di vero? Egli conclude la sua riflessione
dicendo che «rispetto all'esigenza che
cosi gli si pone, la stessa questione della
realtà o irrealtà della redenzione
diventa pressoché indifferente».
Non poteva andare oltre. Riconosce
l’esigenza della prospettiva redentiva,
e afferma implicitamente che ovunque appare
critica razionale e giudizio morale e incanto
estetico, è in azione questo criterio
che trascende silenziosamente il mondo per
conoscerlo, valutarlo, goderlo. Non è
riuscito a nominare il volto dell’Incondizionato.
Non mi importa, ha già detto tanto.
A me, da lui, basta anche così. E’
reale o irreale la Redenzione? E’ talmente
necessario che venga ospitata nei
pensieri dell’uomo che per lui la risposta
risulta “pressoché indifferente”.
La mia piccola grande differenza sta tutta
qui. Per me la questione della realtà
è dirimente. Ma lo faccio con una grande
fiducia sotterranea, perché
se l’uomo riesce, nel pensiero conoscente,
nel giudizio morale, nell’incanto estetico,
a fare esperienza di trascendenza, mi chiedo
come possa, questa trascendenza, essere irreale.
Se c’è la fame, come può
non esistere il pane? Se c’è
il bisogno di bellezza e amore come può
non esistere l’amato? Siamo
fatti per corrispondere. A un bisogno
corrisponde una risposta. A un vuoto corrisponde
un pieno. Al bisogno di redenzione, riconosciuto
fondamentale da Adorno, non
può non corrispondere la realtà
di quando essa viene riconosciuta presente
nella storia. Il problema non è se
esiste o meno, ma dove esiste.
Dove incontrarla. Non è se il pane
esiste ma dove trovarlo. Che esista è
indubbio, ed è scritto nell'indubitabile
fame. Facciamo domande perché esistono
risposte. Vogliamo conoscere perchè
esiste la verità.
Il Sabato santo che si sta
concludendo in un imprevisto sole primaverile
è una grande lezione di umiltà.
Un invito sempre rinnovato dalla liturgia
della madre chiesa a saper riconoscere
daccapo ciò che conta. Afferma
silenziosamente che senza il Signore Risorto,
senza il Paradiso aperto, e senza la chiesa
che ci consegna quotidianamente questo bene,
saremmo paralizzati nell’inazione (cosa
fare se tutto equivale?) o violentemente iperattivi
(basta muoversi, anche convulsamente, è
questo il senso). Il Sabato santo è
un caro amico che ci sta accanto e ci aiuta
ad uscire da una brutta situazione con la
sua silenziosa presenza. Immagina ci sia un
Paradiso. E’ necessario, e proprio per
questo è possibile.
Massimo
Zambelli
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