Da qualche tempo si
parla di una «terza ricerca» del Gesù storico;
il nome pare sia stato coniato da Tom Wright
per indicare un nuovo indirizzo ed impulso alla
ricerca del Gesù storico, dopo un periodo di stagnazione
della precedente indagine:
Mentre la cosiddetta New Quest
stava ancora cautamente discutendo su presupposti
e metodi, producendo lunghissime storie della
redazione da cui si poteva spremere una o due
gocce in più di autentico materiale gesuano, un
movimento totalmente diverso iniziava in luoghi
diversi e senza alcuna premessa o programma unificato.
Fortificati dai materiali giudaici, ora più disponibili,
questi studiosi lavorarono come storici, convinti
che è possibile conoscere moltissimo di Gesù di
Nazaret e che vale la pena di farlo.
Questa nuova scuola rivolge tre critiche
alla precedente: l’eccessiva analiticità e importanza
della storia delle forme, che rischia di isolare
le forme letterarie dal contesto; i rischi dell’utilizzo
dei criteri di dissomiglianza di Gesù dall’ambiente
giudaico e dalla Chiesa, che rischiano di creare
una sorta di Gesù estrapolato dal suo ambiente
(criteri che discuteremo più avanti); l’enfasi
posta sulla teologia dell’annuncio evangelico
come criterio per il recupero di Gesù. Per quanto
riguarda il rapporto tra storia e teologia, si
va dall’opposizione astiosa di un E. P. Sanders
alla auspicata sospensione metodologica di J.
P. Meier. I detti ed i fatti di Gesù vengono collocati
in un quadro storico più ampio, e si incoraggia
un confronto con altre scienze, tra cui quelle
sociali.
La terza ricerca ha sfatato alcuni
luoghi comuni della ricerca precedente, ad esempio
nella tendenza a negare (nella Old Quest)
o demitizzare (New Quest) i racconti miracolosi,
dei quali cerca di ritrovare non la spiegazione
scientifica o metafisica, bensì la loro percezione
popolare. Si afferma generalmente in modo più
fiducioso il valore storico delle fonti primarie,
i Vangeli canonici; lo studioso ebreo David
Flusser all’inizio della sua monografia su
Gesù scriveva:
Questo libro è stato anzitutto scritto
per dimostrare che è possibile scrivere una vita
di Gesù. Certo, possediamo più notizie sugli imperatori
a lui contemporanei e su alcuni poeti romani,
ma accanto allo storico Giuseppe Flavio e forse
Paolo, Gesù è l’ebreo post-testamentario sulla
cui vita e dottrina siamo meglio informati.
Al di là di questi lati comuni, i
tentativi indicati sotto questa etichetta non
sono tali da identificare una prospettiva completamente
unitaria. L’istanza di valorizzare maggiormente
l’ebraicità di Gesù, presentata come paradigma
comune di questa ricerca, va in direzione diametralmente
opposta alla sopravvalutazione del Vangelo di
Tommaso operata da alcuni, che sfocia in una sorta
di Gesù quasi «gnostico», puramente sapienziale,
la cui ebraicità è pesantemente cancellata. La
mentalità refrattaria alla dimensione escatologica,
storico-salvifica e cristologica ci riporta alle
consuete alternative tradizionali, più che ad
un approccio nuovo. Certe esasperate rappresentazioni
di Gesù (rivoluzionario o pacifista, restauratore
di Israele, stoico-cinico o mago) paiono ricordare
la varietà delle figure tratteggiate dalla Leben
Jesu Forschung tardo ottocentesca.
Nonostante le solenni dichiarazioni
di neutralità storica, dietro agli sforzi di ricostruire
il Gesù storico talora affiorano le motivazioni
ideologiche: neo-positivismo (E. P. Sanders),
teologia della liberazione (Marcus J. Borg, Douglas E. Oakman, Richard A. Horsley), rapporto con l’ebraismo
in senso troppo giudaizzante (E. P. Sanders) o
troppo poco (J. D. Crossan).
Il differente peso dato alle varie
componenti della tradizione di Gesù ed al suo
sfondo sociopolitico, culturale e religioso, può
creare figure unilaterali di Gesù. Privilegiando
la tradizione dei miracoli da un lato e i papiri
magici dell’altro, si ha un Gesù mago (Morton
Smith) o un pio taumaturgo
ed esorcista (G. Vermes); privilegiando la tradizione
dei detti sapienziali a discapito di quelli escatologici
emerge un Gesù sapiente (F. Gerald Downing, J. D. Crossan), oppure,
seguendo il procedimento opposto, un profeta escatologico
(Ben F. Meyer, E. P. Sanders, J.
Charlesworth). L’accento sulla tradizione della
morte di Gesù ne può fare un rivoluzionario prozelota
(Samuel G. F. Brandon) o un pacifista vittima
dell’oppressione; l’attenzione al contesto giudaico
ne fa un Rabbi (David Flusser, Bruce D. Chilton) o un fariseo illuminato
(Harvey Falk), mentre l’attenzione
a quello ellenistico lo dipinge come un filosofo
cinico (F. G. Downing, Burton L. Mack, J. D. Crossan).
L’enorme varietà dei risultati non pone in questione
il valore storico dei Vangeli, ma piuttosto la
varietà dei metodi e delle opzioni degli studiosi.
A titolo esemplificativo, si potranno
esaminare un po’ più da vicino le letture di quattro
autori della Third Quest, scegliendo tra
coloro le cui opere hanno avuto maggior risonanza
tra il pubblico non specializzato:
Lo studioso ebreo Geza Vermes
nel suo Gesù l’ebreo (1973) e nelle opere successive
si propone di porre il ministero di Gesù nell’ambiente
giudaico del I secolo; egli è convinto di poter
dimostrare la fondatezza dei racconti evangelici,
se proiettati sullo sfondo del materiale giudaico
parallelo. In breve, la tesi dell’autore è che
la figura di Gesù corrisponde a quella dei rabbi
carismatici, in particolare Honi e Hanina ben
Dosa. La sua analisi dei vari titoli attribuiti
a Gesù cerca di dimostrare come possano tutti
essere inquadrati nella descrizione dell’uomo
carismatico. Nello stesso tempo, in conclusione
del lavoro, afferma la «incomparabile superiorità»
di Gesù sugli altri venerandi «santi» galilei,
lasciando aperto l’interrogativo: se Gesù rimane
diverso e superiore, come spiegarlo, e chi è?
Ed Parish Sanders descrive Gesù come
un uomo che condivise la speranza escatologica
ebraica come l’attesa di un grande intervento
di Dio per la restaurazione di Israele, radicalizzandola
e proclamandola imminente; la sua condanna a morte
sarebbe stata suscitata dal timore provato dagli
Ebrei nel veder crescere il suo movimento. Sanders,
come altri studiosi ebrei (M. Buber) o «laici»
(tra i quali, nella prima metà del XX secolo,
gli italiani postmodernisti Omodeo, Salvatorelli,
Martinetti, Parente) ritiene storica la predicazione
escatologica e la rivendicazione messianica di
Gesù (in opposizione a Vermes). Sanders rigetta
la visione di Gesù come santo o maestro, che non
spiega le conseguenze della sua attività pubblica
- specie la morte - per quella di un Gesù restauratore
di Israele; la sua lettura di Gesù come profeta
escatologico è molto vicina a quella di A. Schweitzer. Sanders è stato
criticato per il suo metodo, e per aver minimizzato
od accantonato alcuni dati assodati della ricerca;
inoltre egli ha programmaticamente escluso dalla
sua analisi pagine e pagine di racconti evangelici,
non sottoponendo alla medesima critica le fonti
ebraiche più tardive.
John Dominic Crossan ha fondato
nel 1985 con Robert W. Funk il Jesus
Seminar, che ha raccolto un gruppo di studiosi
della Bibbia (quasi tutti americani) che si sono
riuniti per diversi anni votando con palline colorate
il grado di fedeltà al vero insegnamento di Gesù
di quanto è riportato nei Vangeli. Una pallina
rossa significa “Gesù lo ha detto sicuramente”;
quella rosa “Pare che possa averlo detto”; quella
grigia “Probabilmente non l’ha detto”, e quella
nera “Gesù non lo avrebbe mai detto”. Ne è risultata
la monografia The Five Gospels: What Jesus
Really Said (I cinque Vangeli: che cosa Gesù
ha detto veramente), un’edizione dei
Vangeli "a colori", in cui ogni frase riportata
è colorata secondo quel criterio. Essi conclusero
che l’82% dei detti attribuiti a Gesù non fu realmente
pronunciato da lui; della preghiera del Padre
nostro, ad esempio, furono considerate autentiche
due parole solamente: “Padre nostro”, appunto. Il titolo I
cinque Vangeli allude al Vangelo di Tommaso,
che conterrebbe gli insegnamenti più autentici
di Gesù; questo va di pari passo alla descrizione
dell’attività di Gesù come risposta alla situazione
sociale contemporanea del mondo ebraico (stranamente,
dato il carattere metastorico del medesimo). La
conclusione è quella di un Gesù predicatore di
un Regno che non va compreso in senso apocalittico,
bensì etico-sapienziale. Crossan ha pubblicato
anche un Gesù. Una biografia rivoluzionaria
(1993). Gesù è dipinto
come un rivoluzionario sociale e femminista, con
la volontà di sovvertire le strutture gerarchiche
del tempo, praticante la magia in opposizione
al culto del Tempio; i tratti della sua predicazione
escatologica sono negati, sostituiti da una predicazione
volta a scoprire il regno di Dio presente nell’esperienza
umana di ciascuno. Il lavoro del Seminar si è
attirato molte severe critiche, oltre che per
i metodi seguiti, a causa della improbabile colorazione
gnostica e cinica di Gesù, e della negazione dell’escatologia
futura, così radicata in testi evangelici e forme
letterarie diverse. Si tratta forse del peggior
esempio degli aspetti fuorvianti della Third
Quest, i cui risultati, malamente volgarizzati,
hanno alimentato una vasta produzione di materiale
giornalistico e cinematografico (si ricordi, ad
esempio, il film Stigmate, che si rifà
all’idea del Quinto vangelo presentata dallo Jesus
Seminar).
John P. Meier ha iniziato
nel 1991 un’opera in quattro volumi (tre usciti)
dal titolo Un ebreo marginale. Ripensare il
Gesù storico, nella quale si
può trovare una equilibrata discussione sui principi
metodologici e critici della ricerca, con una
lunga discussione preliminare sulle fonti giudaiche,
pagane ed apocrife (quest’ultime eccessivamente
sopravvalutate in ambiente americano, ma qui,
forse proprio allo scopo di opporsi a questa sopravvalutazione,
talora troppo dequalificate).
NOTE AL TESTO
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