Il martire e filosofo
cristiano Giustino intorno all’anno 160 scrisse
un Dialogo col giudeo Trifone, con il quale
perseguiva lo scopo di dimostrare che il cristianesimo
era la naturale continuazione dell’ebraismo. L’opera
è strutturata in forma di un dialogo tra l’autore
e l’ebreo Trifone, nel quale secondo alcuni, probabilmente
a torto, è ravvisabile il noto Rabbi Tarphon ; in tal caso, la finzione letteraria
del dialogo sarebbe forse l’eco di una reale discussione
avvenuta tra i due ad Efeso nel 135.
Nel racconto, Giustino ricorda un
avvertimento che sarebbe stato inviato dagli Ebrei
palestinesi ai Giudei della diaspora, che contiene
un giudizio su Gesù:
“E’ sorta un’eresia senza Dio
e senza Legge da un certo Gesù, impostore Galileo;
dopo che noi lo avevamo crocifisso, i suoi discepoli
lo trafugarono nottetempo dalla tomba ove lo
si era sepolto dopo averlo calato dalla croce,
ed ingannano gli uomini dicendo che è risorto
dai morti e asceso al cielo” (Tryph. CVIII,
2).
Il passo ci riporta un’accusa che
avrà una certa fortuna, quella dell’inganno ordito
dai discepoli di Gesù e del trafugamento del suo
corpo dal sepolcro. La stessa accusa è ricordata
da Tertulliano nel XXX capitolo del De spectaculis.
Per il resto, il passo non è di grande
interesse storico, anche perché la sua provenienza
e la sua autenticità sono alquanto incerte; certo
esso testimonia un giudizio di alcuni Giudei del
tempo di Giustino su Gesù.
NOTE
AL TESTO
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