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L'imperatore Publio Adriano in un ritratto
ufficiale.
(Roma, Museo Nazionale Romano)
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Publio Adriano, successore di Traiano,
imperatore dal 117 al 138, ricevette una lettera
da Quinto licinio Silvano Graniano, proconsole
dAsia nel 120 circa, nella quale si richiedevano
istruzioni riguardo al comportamento da tenersi
con i Cristiani, spesso oggetto di delazioni anonime
e accuse ingiustificate. Egli rispose con un rescritto,
che ci č pervenuto nella Storia ecclesiastica
di Eusebio di Cesarea, indirizzato al successore
di Graniano, Caio Minucio Fundano, in carica nel
122-123.
In esso si legge:
Se pertanto i provinciali sono
in grado di sostenere chiaramente questa petizione
contro i Cristiani, in modo che possano anche
replicare in tribunale, ricorrano solo a questa
procedura, e non ad opinioni o clamori. E infatti
assai pił opportuno che tu istituisca un processo,
se qualcuno vuole formalizzare unaccusa. Allora,
se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno
agendo contro le leggi, decidi secondo la gravitą
del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge
denuncia per calunnia, stabiliscine la gravitą
e abbi cura di punirlo (Hist. Eccl. IV, 9,
2-3).
Gli apologisti, a partire da Giustino,
che riporta il testo di questo rescritto in appendice
alla sua prima Apologia, hanno interpretato
favorevolmente questa disposizione, vedendo nella
richiesta di Adriano il primo tentativo di distinguere
tra laccusa di nomen christianus e i suoi
presunti flagitia; il semplice nome cristiano
non doveva essere perseguito, e gli eventuali
reati dovevano essere prima dimostrati tramite
regolare processo, come per qualsiasi cittadino.
In tal guisa interpretano anche molti studiosi
moderni; tuttavia, ancora sotto Antonino Pio i
Cristiani erano oggetto di persecuzione solamente
in quanto tali. Nonostante la contraddittorietą
dei provvedimenti, ci si avvia lentamente ad un
progressivo riconoscimento della nuova fede.
NOTE
AL TESTO
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