La volontà di Petronio
di alludere al cristianesimo nei propri scritti
è discussa ed è tuttora oggetto di studio.
E’ ormai ampiamente accettata la
datazione dei frammenti del romanzo latino intitolato
Satyricon all’età neroniana (54-68 d.C.),
e l’identificazione del suo autore con Tito Petronio
Negro, personaggio la cui morte per suicidio,
avvenuta nel 66, è drammaticamente descritta dallo
storico Tacito nei suoi Annali. Egli ci è presentato come proconsole
della Bitinia e poi console; dopo questi incarichi
era stato ammesso nel circolo “dei pochi intimi
di Nerone, arbitro di raffinatezza, a tal punto
che quegli nulla riteneva essere dolce o voluttuoso,
se non ciò che Petronio avesse approvato per lui”. Da questo epiteto di “arbitro di raffinatezza”
(arbiter elegantiae) è scaturito il nome
conservatoci dalla tradizione manoscritta con
il quale l’autore è universalmente conosciuto:
Petronius Arbiter.
Alcune allusioni all’incendio di
Roma del 64 orienterebbero la datazione del romanzo
agli anni 64-65, negli anni in cui, dopo l’incendio
di Roma, i cristiani subirono la loro prima persecuzione.
Protagonisti del romanzo sono due
giovani, Encolpio e Gitone, cui si aggiungono
successivamente Ascilto, Agamennone ed il vecchio
poeta Eumolpo; tra le varie peripezie narrateci
da Petronio, spicca il lungo racconto di una pantagruelica
e lussuriosa cena organizzata in casa del ricchissimo
liberto Trimalcione (comunemente identificato
con Nerone).
Circa un secolo fa il Preuschen in
uno studio che suscitò molte reazioni aveva evidenziato
profonde somiglianze fra un passo del vangelo
di Marco, l’unzione di Betania, ed un passo del
Satyricon. In esso si narra di Trimalcione
il quale, durante il banchetto da lui apprestato,
procede all’unzione dei convitati con il nardo,
prefigurando tramite gesti simbolici le proprie
esequie; di qui, data la somiglianza di questo
racconto con l’episodio evangelico, ed anche a
causa dello stato degli studi sulla datazione
dei vangeli del tempo, lo studioso credette poter
spiegare tali somiglianze ipotizzando una imitazione
di Petronio da parte dell’evangelista Marco . Senza entrare ora nella questione
della datazione e della origine del vangelo di
Marco, ci basterà notare che non è improbabile
che Petronio nel momento in cui scrisse il Satyricon
potesse essere a conoscenza di tale scritto, che
secondo l’antica tradizione patristica fu redatto
proprio a Roma.
Uno studio di Ilaria Ramelli ha ripreso
in considerazione l’ipotesi del Preuschen, ribaltandola:
sarebbe stato Petronio a parodiare il vangelo
di Marco, e non viceversa.
Non sarà inopportuno riprendere qui
le sue osservazioni, iniziando proprio dal racconto
dell’unzione.
In Petronio, durante la cena,
Trimalcione si fa recare le vesti preparate per
la sua sepoltura, del vino con cui saranno lavate
le sue ossa e dell’unguento; aperta un’ampolla
di Nardo, unge i convitati in prefigurazione
della sua unzione funebre e li invita a
considerare il pasto come il suo banchetto
funebre.
Nel vangelo di Marco, mentre Gesù
si trova a mensa, arriva una donna con
un vaso di alabastro pieno di nardo
genuino prezioso, lo rompe e unge
Gesù sul capo. Il Cristo dice a suo riguardo che
ella sta ungendo in anticipo il suo corpo
per la sepoltura.
Come si può notare dalle parti in
corsivo, le somiglianze sono evidenti. Ecco in
sinossi i due testi, quello del Satyricon
e quello del vangelo di Marco:
“Porta anche dell’unguento e un assaggio
da quell’anfora, con cui voglio siano lavate le
mie ossa” […] Subito aprì l’ampolla del nardo,
unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi
da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse
infuso del vino in una brocca e disse “Fate come
se foste stati invitati ai miei funerali”.
Essendo [Gesù] a Betania in casa
di Simone il lebbroso, mentre giaceva, venne una
donna che aveva un vaso di alabastro di unguento
di puro nardo prezioso; rotto l’alabastro, lo
versò sul capo di lui […] “Ciò che ebbe, ella
lo fece: anticipò di ungere il mio corpo per la
sepoltura”.
Trimalcione afferma di aver consultato
un astrologo, che gli ha predetto la morte dopo
altri trent’anni, cosa della quale egli è persuaso; poiché dunque non vi è alcuna imminenza
della morte per lui, l’ipotesi della parodia del
racconto evangelico non pare così azzardata.
Un altro passo della cena pare avere
reminiscenze evangeliche:
“Mentre diceva queste cose, un gallo
domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione
comandò che fosse versato del vino sotto la tavola
e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi
passò l’anello nella mano destra e disse: “Non
senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale;
infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno
dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui,
chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”.
In men che non si dica venne portato un gallo
da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse
cotto in pentola” (Sat. LXXIV, 1-4).
Mentre qui il canto del gallo è visto
come presagio di sciagura, nel resto della tradizione
greco-romana esso è preannunzio del giorno e della
vittoria, mai presagio di morte . Nel vangelo, il duplice canto del
gallo invece è indice del tradimento di Pietro
prima della morte di Gesù.
La definizione petroniana del gallo
come index, ovvero, in linguaggio giuridico,
come denunziatore, accusatore, sembra
ricordare la funzione che rivestì il gallo in
Marco, ovvero quella di denunziare il triplice
tradimento di Pietro.
Anche il noto episodio della matrona
di Efeso, pare avere altri richiami evangelici:
“Una matrona di Efeso, […] avendo
perso il marito, […] seguì il defunto persino
nel sepolcro. […] Nello stesso tempo il governatore
della provincia comandò che fossero crocifissi
dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale
la matrona piangeva il recente cadavere. La notte
seguente, quando il soldato che sorvegliava le
croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli,
notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito
di qualcuno che piangeva […] volle sapere chi
fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba.
[…] Dunque giacquero assieme non solo quella notte
nella quale fu consumato il loro imene, ma anche
il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente
chiuse le porte del sepolcro. […] Ma i parenti
di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza,
tirarono giù di notte l’appeso e gli resero l’estremo
ufficio. E quando il giorno successivo il soldato
[…] vide una croce senza cadavere, atterrito dal
supplizio raccontò alla donna quello che era successo.
[…] Ella disse allora di togliere il corpo del
proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella
croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno
dell’avvedutissima donna, ed il giorno dopo il
popolo si meravigliava di come quel morto avesse
potuto salire sulla croce” (Sat. CXI-CXII).
La citazione di un governatore provinciale
(Pilato?), dei ladroni crocifissi, della guardia
sepolcrale e dei tre giorni nel sepolcro, e infine
il tema del trafugamento del cadavere, un’accusa
rivolta ai cristiani già da tempo, ci farebbero pensare ad una parodia
del racconto della morte e risurrezione del Cristo.
Una volta accettata la dipendenza
Marco-Petronio, molti passi si prestano a simili
letture: ad esempio la presunta allusione all’eucarestia
nelle parole di Eumolpo che lascia i suoi averi
a chi mangerà pubblicamente le sue carni dopo
la morte (CXLI, 2).
Recentemente Giuseppe Giovanni Gamba
in una monografia che ha mosso i suoi passi da
queste constatazioni, ha creduto di poter commentare tutto
il Satyricon in chiave autobiografica,
partendo dal presupposto che Petronio abbia voluto
fare la parodia del cristianesimo al quale, assieme
anche a Nerone, avrebbe per un certo periodo aderito,
per poi ripudiarlo. Di qui le identificazioni
di Petronio medesimo con Encolpio, di Nerone con
Ascilto, di Agrippina con la sacerdotessa Quartilla,
di Seneca con Agamennone e di Trimalcione con
l’apostolo Pietro che in quel periodo predicava
a Roma.
Al di là di questi sviluppi assolutamente
innovativi, qualora fosse anche solo provato un
collegamento tra gli avvenimenti evangelici ed
il romanzo di Petronio nel modo sopra esposto,
saremmo di fronte alla prima velata testimonianza
non cristiana di Gesù e della sua Chiesa, redatta
nel tempo in cui gli apostoli Pietro e Paolo predicavano
e subivano il martirio nella capitale dell’impero
romano. Fino a quel momento, possiamo solo considerare
questa chiave interpretativa come una interessante
ipotesi che necessita di ulteriore approfondimento.
NOTE AL TESTO
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