Introduzione
Petronio
Apuleio
Testimonianze giudaiche

 

Andrea Nicolotti

PETRONIO

La volontà di Petronio di alludere al cristianesimo nei propri scritti è discussa ed è tuttora oggetto di studio.

E’ ormai ampiamente accettata la datazione dei frammenti del romanzo latino intitolato Satyricon all’età neroniana (54-68 d.C.), e l’identificazione del suo autore con Tito Petronio Negro, personaggio la cui morte per suicidio, avvenuta nel 66, è drammaticamente descritta dallo storico Tacito nei suoi Annali1. Egli ci è presentato come proconsole della Bitinia e poi console; dopo questi incarichi era stato ammesso nel circolo “dei pochi intimi di Nerone, arbitro di raffinatezza, a tal punto che quegli nulla riteneva essere dolce o voluttuoso, se non ciò che Petronio avesse approvato per lui”2. Da questo epiteto di “arbitro di raffinatezza” (arbiter elegantiae) è scaturito il nome conservatoci dalla tradizione manoscritta con il quale l’autore è universalmente conosciuto: Petronius Arbiter.

Alcune allusioni all’incendio di Roma del 64 orienterebbero la datazione del romanzo agli anni 64-653, negli anni in cui, dopo l’incendio di Roma, i cristiani subirono la loro prima persecuzione.

Protagonisti del romanzo sono due giovani, Encolpio e Gitone, cui si aggiungono successivamente Ascilto, Agamennone ed il vecchio poeta Eumolpo; tra le varie peripezie narrateci da Petronio, spicca il lungo racconto di una pantagruelica e lussuriosa cena organizzata in casa del ricchissimo liberto Trimalcione (comunemente identificato con Nerone).

Circa un secolo fa il Preuschen in uno studio che suscitò molte reazioni aveva evidenziato profonde somiglianze fra un passo del vangelo di Marco, l’unzione di Betania, ed un passo del Satyricon. In esso si narra di Trimalcione il quale, durante il banchetto da lui apprestato, procede all’unzione dei convitati con il nardo, prefigurando tramite gesti simbolici le proprie esequie; di qui, data la somiglianza di questo racconto con l’episodio evangelico, ed anche a causa dello stato degli studi sulla datazione dei vangeli del tempo, lo studioso credette poter spiegare tali somiglianze ipotizzando una imitazione di Petronio da parte dell’evangelista Marco4 . Senza entrare ora nella questione della datazione e della origine del vangelo di Marco, ci basterà notare che non è improbabile che Petronio nel momento in cui scrisse il Satyricon potesse essere a conoscenza di tale scritto, che secondo l’antica tradizione patristica fu redatto proprio a Roma.

Uno studio di Ilaria Ramelli ha ripreso in considerazione l’ipotesi del Preuschen, ribaltandola: sarebbe stato Petronio a parodiare il vangelo di Marco, e non viceversa.5

Non sarà inopportuno riprendere qui le sue osservazioni, iniziando proprio dal racconto dell’unzione.

In Petronio, durante la cena, Trimalcione si fa recare le vesti preparate per la sua sepoltura, del vino con cui saranno lavate le sue ossa e dell’unguento; aperta un’ampolla di Nardo, unge i convitati in prefigurazione della sua unzione funebre e li invita a considerare il pasto come il suo banchetto funebre.

Nel vangelo di Marco, mentre Gesù si trova a mensa, arriva una donna con un vaso di alabastro pieno di nardo genuino prezioso, lo rompe e unge Gesù sul capo. Il Cristo dice a suo riguardo che ella sta ungendo in anticipo il suo corpo per la sepoltura.

Come si può notare dalle parti in corsivo, le somiglianze sono evidenti. Ecco in sinossi i due testi, quello del Satyricon e quello del vangelo di Marco:

“Porta anche dell’unguento e un assaggio da quell’anfora, con cui voglio siano lavate le mie ossa” […] Subito aprì l’ampolla del nardo, unse tutti noi e disse “Spero che possa piacermi da morto quanto da vivo”. Poi comandò che fosse infuso del vino in una brocca e disse “Fate come se foste stati invitati ai miei funerali”6.

Essendo [Gesù] a Betania in casa di Simone il lebbroso, mentre giaceva, venne una donna che aveva un vaso di alabastro di unguento di puro nardo prezioso; rotto l’alabastro, lo versò sul capo di lui […] “Ciò che ebbe, ella lo fece: anticipò di ungere il mio corpo per la sepoltura”7.

Trimalcione afferma di aver consultato un astrologo, che gli ha predetto la morte dopo altri trent’anni, cosa della quale egli è persuaso8; poiché dunque non vi è alcuna imminenza della morte per lui, l’ipotesi della parodia del racconto evangelico non pare così azzardata9.

Un altro passo della cena pare avere reminiscenze evangeliche:

“Mentre diceva queste cose, un gallo domestico cantò. Turbato da quella voce, Trimalcione comandò che fosse versato del vino sotto la tavola e che anche la lucerna ne venisse cosparsa. Poi passò l’anello nella mano destra e disse: “Non senza ragione questo trombettiere ha dato il segnale; infatti o dovrà scoppiare un incendio, o qualcuno dei vicini dovrà morire. Lungi da noi! Per cui, chi mi porterà questo accusatore riceverà un premio”. In men che non si dica venne portato un gallo da una casa vicina, che Trimalcione ordinò venisse cotto in pentola” (Sat. LXXIV, 1-4)10.

Mentre qui il canto del gallo è visto come presagio di sciagura, nel resto della tradizione greco-romana esso è preannunzio del giorno e della vittoria, mai presagio di morte11 . Nel vangelo, il duplice canto del gallo invece è indice del tradimento di Pietro prima della morte di Gesù12.

La definizione petroniana del gallo come index, ovvero, in linguaggio giuridico, come denunziatore, accusatore, sembra ricordare la funzione che rivestì il gallo in Marco, ovvero quella di denunziare il triplice tradimento di Pietro.

Anche il noto episodio della matrona di Efeso, pare avere altri richiami evangelici:

“Una matrona di Efeso, […] avendo perso il marito, […] seguì il defunto persino nel sepolcro. […] Nello stesso tempo il governatore della provincia comandò che fossero crocifissi dei ladroni proprio accanto al sepolcro nel quale la matrona piangeva il recente cadavere. La notte seguente, quando il soldato che sorvegliava le croci affinché nessuno togliesse i corpi per seppellirli, notò un lume splendere tra le tombe e udì il gemito di qualcuno che piangeva […] volle sapere chi fosse e che cosa facesse. Scese quindi nella tomba. […] Dunque giacquero assieme non solo quella notte nella quale fu consumato il loro imene, ma anche il seguente ed il terzo giorno, tenendo certamente chiuse le porte del sepolcro. […] Ma i parenti di un crocifisso, come videro diminuita la sorveglianza, tirarono giù di notte l’appeso e gli resero l’estremo ufficio. E quando il giorno successivo il soldato […] vide una croce senza cadavere, atterrito dal supplizio raccontò alla donna quello che era successo. […] Ella disse allora di togliere il corpo del proprio marito dall’arca e di attaccarlo a quella croce che era vuota. Il soldato approfittò dell’ingegno dell’avvedutissima donna, ed il giorno dopo il popolo si meravigliava di come quel morto avesse potuto salire sulla croce” (Sat. CXI-CXII)13.

La citazione di un governatore provinciale (Pilato?), dei ladroni crocifissi, della guardia sepolcrale e dei tre giorni nel sepolcro, e infine il tema del trafugamento del cadavere, un’accusa rivolta ai cristiani già da tempo14, ci farebbero pensare ad una parodia del racconto della morte e risurrezione del Cristo.

Una volta accettata la dipendenza Marco-Petronio, molti passi si prestano a simili letture: ad esempio la presunta allusione all’eucarestia nelle parole di Eumolpo che lascia i suoi averi a chi mangerà pubblicamente le sue carni dopo la morte (CXLI, 2)15.

Recentemente Giuseppe Giovanni Gamba in una monografia che ha mosso i suoi passi da queste constatazioni16, ha creduto di poter commentare tutto il Satyricon in chiave autobiografica, partendo dal presupposto che Petronio abbia voluto fare la parodia del cristianesimo al quale, assieme anche a Nerone, avrebbe per un certo periodo aderito, per poi ripudiarlo. Di qui le identificazioni di Petronio medesimo con Encolpio, di Nerone con Ascilto, di Agrippina con la sacerdotessa Quartilla, di Seneca con Agamennone e di Trimalcione con l’apostolo Pietro che in quel periodo predicava a Roma.

Al di là di questi sviluppi assolutamente innovativi, qualora fosse anche solo provato un collegamento tra gli avvenimenti evangelici ed il romanzo di Petronio nel modo sopra esposto, saremmo di fronte alla prima velata testimonianza non cristiana di Gesù e della sua Chiesa, redatta nel tempo in cui gli apostoli Pietro e Paolo predicavano e subivano il martirio nella capitale dell’impero romano. Fino a quel momento, possiamo solo considerare questa chiave interpretativa come una interessante ipotesi che necessita di ulteriore approfondimento.


NOTE AL TESTO

1 XVI, 17-19. Una rassegna dello status quaestionis dell’attribuzione è offerta dalla voce curata da L. PEPE per il Dizionario degli scrittori greci e latini, a cura di F. DELLA CORTE, Milano, 1987, vol. III, pp. 1605-1618.

2 Inter paucos familiarium Neroni adsumptus est, elegantiae arbiter, dum nihil amoenum et molle adfluentia putat, nisi quod ei Petronius adprobavisset. Ed. A. Ernout, Paris, 1962.

3 Cfr. K. F. C. ROSE, The date and the author of the Satyricon, Leiden, 1971.

4 E. PREUSCHEN, Die Salbung Jesu in Bethanien, in «Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft» III (1902), pp. 252-253, e IV (1903), p. 88.

5 I. RAMELLI, Petronio e i Cristiani: allusioni al vangelo di Marco nel Satyricon?, in «Aevum» LXX (1996), pp. 75-80. Cfr. anche: http://www.augustea.it/zucchi/Cultura/Ramelli.htm#par3.

6 Satyricon LXXVII,7; LXXVIII, 3-4: “Profer et unguentum et ex illa amphora gustum, ex qua iubeo lavari ossa mea” […] Statim ampullam nardi aperuit omnesque nos unxit et “Spero” inquit “futurum ut aeque me mortuum iuvet tamquam vivum”. Nam vinum quidem in vinarium iussit infundi et “Putate vos” ait “ad parentalia mea invitatos esse”. Ed. K. Müller, München, 1983.

7 Marco XIV, 3; XIV, 9: “Cum esset Bethaniae in domo Simonis leprosi et recumberet, venit mulier habens alabastrum unguenti nardi puri pretiosi; fracto alabastro, effudit super caput eius […] “Quod habuit, operata est: praevenit ungere corpus meum in sepulturam”. Nova Vulgata, Città del Vaticano, 1986.

8 Satyricon LXXVIII, 1.

9 Cfr. per il tema della morte nel racconto del banchetto di Trimalcione: G. GAGLIARDI, Il corteo di Trimalcione. Nota a Petronio 28, 4-5, in «Rivista di filologia e di istruzione classica» CXII (1984), pp. 285-287; Id., Il tema della morte nella cena petroniana, in «Orpheus» X (1989), pp. 13-25.

10 Haec dicente eo gallus gallinaceus cantavit. Qua voce confusus Trimalchio vinum sub mensa iussit effundi lucernamque etiam mero spargi. Immo anulum traiecit in dexteram manum et “non sine causa” inquit “hic bucinus signum dedit; nam aut incendium oportet fiat, aut aliquis in vicinia animam abiciet. Longe a nobis! Itaque quisquis hunc indicem attulerit, corollarium accipiet”. Dicto citius [de vicinia] gallus allatus est, quem Trimalchio iussit ut aeno coctus fieret.

11 Cfr. G. AMIOTTI, Il gallo animale oracolare?, in Sibille e linguaggi oracolari, mito, storia e tradizione, Convegno del 20-24 settembre 1994, Macerata, 1996.

12 Mc. XIV,30; XIV, 68; XIV, 72.

13 Matrona quaedam Ephesi […] cum virum extulisset, […] in conditorium etiam prosecuta est. […] Interim imperator provinciae latrones iussit crucibus affigi secundum illam casulam, in qua recens cadaver matrona deflebat. Proxima ergo nocte cum miles, qui cruces asservabat ne quis ad sepulturam corpus detraheret, notasset sibi [et] lumen inter monumenta clarius fulgens et gemitum lugentis audisset, […] concupiit scire quis aut quid faceret. Descendit igitur in conditorium. […] Iacuerunt ergo una non tantum illa nocte qua nuptias fecerunt, sed postero etiam ac tertio die, praeclusis videlicet conditorii foribus […] Itaque unius cruciarii parentes ut viderunt laxatam custodiam, detraxere nocte pendentem supremoque mandaverunt officio. At miles […] ut postero die vidit unam sine cadavere crucem, veritus supplicium, mulieri quid accidisset exponit. […] Iubet ex arca corpus mariti sui tolli atque illi quae vacabat cruci affigi. Usus est miles ingenio prudentissimae feminae, posteroque die populus miratus est qua ratione mortuus isset in crucem.

14 Nel vangelo di Matteo (XXVIII, 13-15) le guardie del sepolcro di Gesù, istigate dai sacerdoti, devono dire che “i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo”. […] Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi”.

15 Omnes qui in testamento meo legata habent praeter libertos meos hac condicione percipient quae dedi, si corpus meum in partes conciderint et astante populo comederint.

16 Petronio Arbitro e i Cristiani. Ipotesi per una lettura contestuale del Satyricon, Roma, 1997.