Introduzione
Petronio
Apuleio
Testimonianze giudaiche

 

Andrea Nicolotti

TESTIMONIANZE GIUDAICHE

Ho scelto di inserire in appendice, e quindi sotto condizione, quei passi nei quali tradizionalmente molti commentatori scorgono espliciti o impliciti riferimenti a Gesù di Nazareth e ai Cristiani. Per secoli, Ebrei e Cristiani, convinti dell’impossibilità che la tradizione rabbinica avesse tralasciato di lasciare qualche testimonianza su Gesù, hanno estrapolato dagli scritti uno svariato numero di passi, e li hanno collegati al Cristianesimo nascente, sempre senza tenere sufficiente conto del contesto e della tradizione testuale.

Il risultato di questa attività è la pubblicazione di numerose raccolte di detti rabbinici su Gesù e il Cristianesimo1.

Che alcuni passi del Talmud e della Misnah, così come ci sono pervenuti, contengano passi ostili a Cristo e alla sua Chiesa, è indubbio; ma il problema sta nello stabilire il momento in cui tali passi furono introdotti nel testo, o furono modificati in senso anticristiano. In realtà, le prime testimonianze manoscritte complete risalgono all’alto medioevo, ed i frammenti o le citazioni più antiche ci mostrano una tradizione testuale molteplice, ampiamente uniformata in epoca altomedievale e ancor di più con l’avvento della stampa.

Un diverso approccio ai testi è stato inaugurato dagli studi di Johann Maier2; egli ha preso in esame tutti quei passi in cui tradizionalmente si sono viste allusioni cristiane, dimostrando come pochissimi di quei passi reggano ad un’indagine critica. “Per il giudaismo il cristianesimo fu in un primo tempo un fenomeno marginale tra altri; più tardi, il cristianesimo innalzato a religione di stato fu a tal punto visto come la prosecuzione di «Roma», che elementi specificamente cristiani non vennero nemmeno percepiti in quanto tali. Le affermazioni anticristiane contenute nei testi rabbinici riposano su interpolazioni e rielaborazioni posteriori, e sono quindi da considerarsi come fonti per la conoscenza dei rapporti tra giudaismo e cristianesimo non nell’antichità bensì nel primo medioevo”3.

Quindi, resta accertata la presenza di passi anticristiani nella letteratura rabbinica; ma è dubbio il momento storico in cui furono inseriti. A buon diritto, quindi, ho scelto si inserirne alcuni in appendice, in quanto la loro origine antica, e quindi il loro valore storico di testimonianze dei primi secoli dell’era cristiana, sono stati messi in dubbio dai succitati studi.

Il Talmud babilonese ci riporta questo racconto (tra parentesi quadre le parole contenute solo in alcuni manoscritti):

“Viene tramandato: [al venerdì] alla sera della Parasceve si appese Ješu [ha-nôserî = il cristiano]. Un araldo per quaranta giorni uscì davanti a lui: «Egli [Ješu ha-nôserî] esce per essere lapidato, perché ha praticato la magia e ha sobillato e deviato Israele. Chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, venga e l’arrechi per lui». Ma non trovarono per lui alcuna discolpa, e lo appesero [al venerdì] alla sera della Parasceve.

Disse Ulla: «Credi tu che egli [Ješu ha-nôserî] sia stato uno per il quale si sarebbe potuto attendere una discolpa? Egli fu invece un istigatore all’idolatria, e il Misericordioso ha detto «Tu non devi avere misericordia e coprire la sua colpa!». Con Ješu fu diverso, perché egli stava vicino al regno” (Sanhedrin B, 43b)4.

La spiegazione tradizionale è la seguente5: il passo si riferisce a Gesù, del quale viene anche ricordato con precisione il giorno di esecuzione. L’accenno all’araldo che per quaranta giorni rimanda l’esecuzione di Gesù, è una risposta dell’apologetica ebraica al racconto cristiano della passione, che ci descrive invece un processo frettoloso e privo di testimoni. Il verbo “appendere” al posto di “crocifiggere” non è un problema, perché riscontrabile anche nel Nuovo Testamento (At. 10,39; Gal. 3,13) e in Giuseppe Flavio. La divergenza tra la dichiarazione “esce per essere lapidato” e la successiva morte di croce, è forse un modo per far concordare la verità della crocifissione con l’idea di un processo interamente ebraico.

L’analisi opposta, invece, preferisce riferire il passo ad un’altra persona, che solo casualmente fu prima lapidata e poi appesa alla Parasceve; egli aveva cinque discepoli (di cui si parla più avanti), tutti lapidati come lui; la frase “con Ješu fu diverso, perché egli stava vicino al regno” significa che quest’uomo era un collaborazionista romano6.

Un’altra frase del rabbi Abbahu (Palestina, III-IV sec.) è stata vista come una condanna di Cristo:

“Se qualcuno ti dice: «Io sono Dio», egli è un mentitore; «Io sono il figlio dell’uomo», alla fine dovrà pentirsene; «Io ascenderò al cielo», egli ha detto questo, ma non lo compirà” (Ta‘anit J, 2,1)7.

La frase si adatta bene a Gesù ma anche ad altri uomini che secondo la testimonianza di Celso in Fenicia e Palestina si attribuivano tali qualità divine (Origene, Contra Celsum VII,9). Invece, secondo altri, si tratta della descrizione stereotipata di un dominatore arrogante8.

Un altro passo in cui compare il nome di Gesù, è conservato nel Talmud babilonese (‘Aboda Zara 16b); ne abbiamo però altre due recensioni abbastanza differenti (Tosefta Hullin 2,24 e Midrash Qohelet Rabba 1,1.8). Si tratta di un racconto di rabbi Eli‘ezer ben Hyrkanos (I-II sec.).

Tosefta Hullin

“Mentre una volta passeggiavo lungo la strada di Sepphoris, trovai Giacomo, un uomo di Kfar Siknin, e mi disse una parola di eresia in nome di Ješûa‘ ben Pntjrj:

Midrash Qohelet Rabba

“Io, una volta, andavo lungo la strada di Sepphoris. Mi venne incontro un uomo e Giacomo da Kfar Siknaja era il suo nome. Egli mi disse una parola in nome di Ješû ben Pndr’ e questa parola mi ha fatto piacere:

‘Aboda Zara

“Io, una volta, passeggiavo sulla strada superiore di Sepphoris, e trovai un uomo dei discepoli di Ješu ha-nôserî e Giacomo da Kfar Siknaja era il suo nome. Egli mi disse:

[Continuando con la sola recensione babilonese:]

«Sta scritto nella vostra Torà: Tu non devi portare il prezzo del meretricio e del cane nella casa del Signore Dio tuo [Deut. 23,19]. Si può dunque fare una latrina per il sommo sacerdote?»

Ma io gli risposi di no.

Egli mi disse: «Così mi ha insegnato Ješu ha-nôserî: Dal prezzo del meretricio è raccolto, al prezzo del meretricio deve tornare [Mic. 1,17]. Dal luogo della sporcizia sono venuti, al luogo della sporcizia devono tornare».

E la cosa mi piacque, e per questo sono stato arrestato, per eresia”9.

Per chi vi vede un passo cristiano, siamo di fronte ad un detto di Gesù riportato da una fonte rabbinica, che richiama la sua lotta all’osservanza pedissequa e letterale della legge giudaica. E la condanna del rabbi Eli‘ezer, è una condanna del pensiero cristiano. La questione dell’uso del denaro ottenuto col peccato che non può essere impiegato nel Tempio (qui chiamato “casa del Signore”) richiama alla mente la questione dei trenta denari di Giuda (Mt. 27,6-7).

Si è pensato che questo passo si riferisca certo a Gesù, ma che il suo logion sia stato inventato dai Giudei per screditarlo10; per altri, invece, il passo originariamente non aveva nulla a che fare con Gesù, ma la confusione sarebbe frutto di una maldestra interpolazione medievale. La mescolanza tra Ješûa‘ ben Pntjrj (Pantera?), Ješû ben Pndr’ (Pandera?) e Ješu ha-nôserî (il cristiano), lo studio del contesto e della trasmissione del testo, rivelerebbero un improprio accostamento a Gesù11.

Esistono numerose citazioni rabbiniche di un certo Ješûa‘ ben Pandera o Panteri/Pantera‘; il fatto che fonti non ebraiche (Celso) parlassero di un certo Gesù figlio di Panther fa pensare alla stessa persona (corruzione del greco parthénos, vergine, o nome di soldato romano?). Secondo Maier, però, tale interpretazione è errata. Ben Pandera era un mago ricordato nella tradizione palestinese, come anche Ben Stada: queste figure vennero poi confuse con Gesù, poi chiamato ha-nôserî, e i passi attribuiti erroneamente a lui. Ma in realtà, questo avvenne molto più tardi12.

Di notevole importanza un testo dello Šemônê ‘esre (le Diciotto benedizioni), che apriva la celebrazione sinagogale. Non ci è pervenuto un testo originario, ma diverse redazioni, una delle quali (quella di un frammento della Genizah del Cairo) ci conserva esplicita menzione dei cristiani (o “nazareni”) all’interno della dodicesima benedizione:

“Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente ai nostri giorni il dominio dell’usurpazione, e periscano in un istante i Cristiani (nôserîm) e gli eretici (minim): siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti”13.

Che i Giudei maledicessero i Cristiani nella preghiera, è testimoniato anche da Giustino, Girolamo ed Epifanio; Giustino, in particolare, rinfaccia ai Giudei di maledire nelle sinagoghe coloro che si son fatti cristiani14. Ma solo la redazione sopra riportata li nomina chiaramente, mentre le altre a noi pervenute sono rivolte genericamente ai minim (eretici), senza altre determinazioni. Certo è che nel termine minim si possono comprendere anche i Cristiani, ma non solo. Non è detto poi che esistesse una sola redazione della preghiera, uguale per tutti, anche se essa secondo la tradizione talmudica è originaria di Jamnia, negli anni ’80 del I secolo, sotto rabbi Gamaliele I.

Le fonti cristiane sembrano riferirsi ad una maledizione esplicita contro i cristiani; d’altra parte, la ricostruzione delle varie redazioni del testo è alquanto difficile, ed è stato messo in dubbio il valore assoluto del frammento della genizah.

In conclusione, se è chiaro un intento di maledizione dei Cristiani nella preghiera giudaica, non è chiaro quando e dove in essa fu inserito esplicitamente tale nome15.


NOTE AL TESTO

1 Ad esempio: R. M. MEELFÜHRER, Jesus in Talmude, Altdorf, 1681; H. LAIBLE, Jesus Christus im Thalmud, Leipzig, 1891; R. T. HERFORD, Christianity in Talmud und Midrash, London, 1903, e molti altri.

2 In italiano la buona raccolta di Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia, 1994.

3 J. MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia, 1994, dalla presentazione in copertina.

4 In J. MAIER, op. cit, p. 204.

5 Ad esempio in R. PENNA, L’ambiente storico culturale delle origini cristiane, Bologna, 1984, pp. 244-245.

6 Cfr. J . MAIER, op. cit., pp. 202-214.

7 In J . MAIER, op. cit., p. 96.

8 Cfr. J . MAIER, op. cit., p. 96; R. PENNA, op. cit., pp. 245-246.

9 In J . MAIER, op. cit., pp. 147-149.

10 Cfr. J. JEREMIAS, Gli agrapha di Gesù, Brescia, 1965, pp. 47-49.

11 Cfr. J . MAIER, op. cit., pp. 143-169.

12 Cfr. J . MAIER, op. cit., pp. 232-243.

13 In J . MAIER, op. cit., p. 63, con altri passi paralleli; R. PENNA, op. cit., p. 248.

14 Cfr. W. HORBURY, The Benediction of the Minim and Early Jewish-Christian Controversy, in «Journal of Theological Studies» XXXIII (1982), pp. 19-61.

15 Cfr. Cfr. J . MAIER, op. cit., pp. 55-64; R. PENNA, op. cit., pp. 248-249.