Rizzoli. - Collana: BUR - Saggi.
Pagine 201 - Formato 13x20 - Anno 2003 - ISBN 8817000809
Argomenti: Storia, Cristianesimo
Prezzo di copertina € 7.50
Note: Un saggio esplorativo - prefazione
di Augusto Barbera
a cura di Maria Zanichelli
Caratteristiche: brossura
Note di Copertina
"Le radici cristiane non riguardano solo i
valori spirituali dell'Europa ma anche, ad esempio,
la concreta esperienza giuridica del 'diritto comune',
i cui principi, alimentati dal diritto romano e
dal diritto canonico, a Salamanca come a Bologna,
a Montpellier come ad Oxford, hanno lasciato tracce
in tanta parte degli ordinamenti europei e sono
parte integrante delle tradizioni comuni dell'Europa."
(Augusto Barbera)
"Un'Europa cristiana è un'Europa che
rispetta ugualmente in modo pieno e completo tutti
i suoi cittadini: credenti e laici, cristiani e
non cristiani. È un'Europa che, pur celebrando
l'eredità nobile dell'Illuminismo umanistico,
abbandona la sua cristofobia, e non ha paura né
imbarazzo a riconoscere il Cristianesimo come uno
degli elementi centrali nell'evolvere della propria
civiltà. È un'Europa che nel discorso
pubblico recupera tutta la ricchezza che può
venire dal confronto con una delle sue principali
tradizioni intellettuali e spirituali: la
sua eredità cristiana." (J.H.H.
Weiler)
La scelta originaria della Convenzione di escludere
ogni riferimento a Dio e al Cristianesimo dal Preambolo
della nuova Costituzione europea - secondo Weiler
- non significa altro che adottare una retorica
pluralistica e poi praticare una politica costituzionalmente
imperialistica. Ma questo saggio va oltre la circostanza
dell'attuale processo costituente, ed esplora la
rilevanza del magistero cristiano rispetto a questioni
cruciali nel dibattito sull'integrazione europea.
Dall'anticipazione:
Il Preambolo della nuova Costituzione europea non
fa riferimenti espliciti all'eredità religiosa
cristiana. Secondo Weiler si tratta di un'importante
questione di principio poiché "un'Europa
cristiana è un'Europa che rispetta ugualmente
in modo pieno e completo tutti i suoi cittadini:
credenti e laici, cristiani e non cristiani. E un'Europa
che, pur celebrando l'eredità nobile dell'Illuminismo
umanistico, abbandona la sua cristofobia e non ha
paura né imbarazzo a riconoscere il Cristianesimo
come uno degli elementi centrali nell'evolvere della
sua civiltà". Un saggio che va oltre
la circostanza dell'attuale processo costituente,
ed esplora la rilevanza del magistero cristiano
rispetto a questioni cruciali nel dibattito sull'integrazione.
Indice - Sommario
Prefazione di Augusto barbera
I. Mitte viros qui considerent terram ... ! - L'identità
europea
II. L'Europa propone ...! La normatività europea
III. "Cose nuove" ... ! La spiritualità
europea
Appendice
Prefazione di "Un'Europa cristiana"
Caro lettore
Un'Europa cristiana è un titolo rischioso
per questo saggio.
Alcuni lettori, ne sono sicuro, non andranno mai
oltre il titolo, e potranno anche esprimere solo
sulla base di esso la loro approvazione ("finalmente
qualcuno …"), o disapprovazione ("non
abbiamo costruito la nuova Europa per ritornare
all'intolleranza nei confronti di …").
Non riesco a giudicarli troppo severamente. Di fronte
alla valanga di nuovi libri che ci travolgono quotidianamente,
non siamo forse tutti colpevoli, di tanto in tanto,
di esprimere giudizi affrettati di questo tipo?
Lettori più coscienziosi - quelli che effettivamente
prendono in mano il libro per leggerlo - lo faranno
in molti casi con un insieme di pregiudizi indotti
da questo titolo, e condizionati dal recente dibattito
pubblico scatenato dal rifiuto di includere un riferimento
esplicito al Cristianesimo nella Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea e nel Progetto
di Costituzione europea, nonché dai commenti
di Giscard sull'adesione della Turchia all'Unione.
(È da notare che il lavoro per questo libro
e le prime conferenze legate ad esso erano stati
svolti molto prima di questi avvenimenti).
Mettete da parte, per favore, i vostri pregiudizi.
Ho la speranza di offrire un'occasione di riflessione
e di arricchimento a tutti i miei lettori, qualunque
siano le aspettative e i pregiudizi suscitati dal
titolo, le loro personali convinzioni, religiose
o laiche, e la loro predisposizione costituzionale
riguardo al posto che legittimamente la religione
dovrebbe occupare nella nostra vita pubblica.
Un'Europa cristiana: che cosa aspettarsi, allora?
Il termine "Europa" è facile
da spiegare: è l'Europa della Comunità,
dell'Unione. Sto studiando da una vita il processo
di integrazione europea. È un interesse che
va oltre l'atteggiamento analitico di un accademico
di professione, pur essendo anche questo. Il mio
libro La costituzione dell'Europa esprime perfettamente
quell'interesse. Il sottotitolo è rivelatore:
Saggi sui fini e i mezzi dell'integrazione europea.
Vi renderete conto che non mi sono mai astenuto
nei miei libri da un'intonazione valutativa. Quando
si scrive a proposito di 'fini' occorre essere prescrittivi.
Anche questo libro che state leggendo, dunque, non
rinuncia ad una dimensione valutativa e prescrittiva.
Esso analizza un certo (insoddisfacente) stato di
cose, e propone inoltre una visione di un concetto
più soddisfacente di Europa cristiana.
In che cosa consiste, allora, questo concetto
più soddisfacente di un'Europa cristiana?
Quali sono le tesi centrali di questo libro? Forse
dovrei dire in primo luogo di che cosa questo libro
non si occupa. Che cosa non vuole sostenere:
Questo non è un libro di evangelizzazione
o con intenti missionari. Non è una chiamata
alla fede. Non è neppure un libro rivolto
solo o principalmente alla comunità dei credenti,
anche se una delle sue affermazioni centrali è
che è legittimo per i Cristiani praticanti
dar voce in modo molto più deciso alle sensibilità,
ai punti di vista e agli insegnamenti cristiani
nel discorso dell'Europa e sull'Europa. L'Europa,
tutta l'Europa, non può che essere arricchita
dall'aggiunta di quella voce alla sua sfera pubblica.
Non è neppure un invito al Cristianesimo
a divenire in qualche modo la religione istituzionale
o ufficiale dell'Unione europea. Abbiate più
fiducia nel mio buon senso! Il libro è saldamente
radicato nella comune eredità democratico-costituzionale
europea, che rifiuta ogni forma di teocrazia coercitiva,
anche se vale la pena ricordare che, riguardo al
posto della religione entro la vita pubblica, la
tradizione democratico-costituzionale europea non
coincide esattamente con la tradizione francese,
o anche italiana, dello Stato laico. La Gran Bretagna,
la Germania e l'Irlanda, per menzionare solo alcuni
Stati, sono componenti rispettabili di quella tradizione
costituzionale, eppure hanno predisposto soluzioni
molto diverse sia per regolare i rapporti fra Chiesa
e Stato sia per fare riferimento alla fede, a Dio,
addirittura alla Chiesa, nell'iconografia e nella
simbologia dello Stato. Inoltre, in base alla sua
attuale posizione, immagino che neppure la Chiesa
auspicherebbe un tale ruolo ufficiale per il Cristianesimo,
a meno che questa non fosse la volontà democratica
dei popoli europei: ipotesi che evidentemente è
da escludere.
Mamma, li Turchi…! Infine, questo libro
non vuole sostenere che, poiché la maggior
parte della popolazione turca non è cristiana,
la Turchia non dovrebbe essere ammessa nell'Unione
europea. Potrebbero esservi buone ragioni per differire
o perfino per respingere la domanda di adesione
della Turchia. Ma rifiutare la Turchia su quella
base significherebbe vanificare l'impegno professato
dall'Europa a favore del pluralismo, della tolleranza
e dei diritti umani. Attribuire tale rifiuto alla
Chiesa non sarebbe altro che un insulto al modo
in cui la Chiesa attualmente intende se stessa in
rapporto alle altre religioni.
Un'Europa cristiana si incentra, invece, sulle
due proposizioni che seguono, piuttosto semplici.
La prima proposizione riguarda l'identità.
L'attuale circostanza politica, di definizione e
adozione di una Costituzione per l'Europa, non è
solo una ricerca, ad esempio, della ripartizione
ottimale di competenze fra la Commissione e il Consiglio
dell'Unione europea (anche se non è facile,
seguendo i dibattiti della Convenzione, capire che
ci sarebbe molto altro di importante per l'Europa
...). È - o almeno dovrebbe essere - un momento
per ripensare, e forse per ridefinire, l'Europa:
il suo telos, la sua identità, la sua autocomprensione.
Nel fare questo, certamente non è più
à la mode utilizzare l'espressione "civiltà
europea", o tanto meno "civiltà
occidentale". Sa troppo della vecchia hybris
imperialistica europea e dell'attuale trionfalismo
americano, dai quali intendiamo prendere le distanze.
Ma la stessa Costituzione non esita a usare questa
parola: Consapevoli che l'Europa è un continente
portatore di civiltà. A titolo giusto! L'Europa,
la costruzione europea, non è nulla se non
è anche espressione e veicolo di una certa
civiltà, che comprende la nostra cultura
e i nostri valori; un'espressione di chi siamo,
uno strumento per realizzare ciò che vorremmo
essere.
Che piaccia o no, l'attuale conversazione costituzionale
è un riflesso, e insieme è costitutiva,
della civiltà europea, id est dell'identità
europea. Ed è semplicemente ridicolo condurre
questa conversazione senza riconoscere la centralità
del Cristianesimo rispetto a quella civiltà.
Nel descrivere il fenomeno di una persona che nasconde
a se stessa un elemento importante della realtà,
gli psicologi usano il termine denial - "negazione".
L'Europa è in denial - "in negazione",
se mentre sta svolgendo un dibattito sulla sua identità
proprio le parole "cristiano" o "Cristianesimo"
sono diventate tabù. È una negazione
preoccupante, poiché di nuovo esprime - a
mio parere - una tendenza più ampia presente
nella costruzione da parte dell'Europa del proprio
ethos pubblico: la tendenza ad evitare ciò
che è difficile in favore di una retorica
superficiale e semplificatrice.
Rifiutare il discorso del Cristianesimo significa
anche rifiutare di affrontare il passato dell'Europa.
L'Europa non dovrebbe divenire un mezzo per sfuggire
al nostro passato, glorioso e insieme deplorevole;
o per eludere la nostra identità complessa
e contraddittoria. Negli anni '60 e '70, nel concepire
la politica commerciale dell'Europa nei confronti
dei Paesi in via di sviluppo, attraverso strumenti
importanti come le Convenzioni di Lomé, c'era
l'ingenua (e opportunistica) convinzione che affidando
tale politica alla CE, l'Europa potesse sfuggire
alla sua eredità coloniale. Certi Mandarini
di Bruxelles possono averlo creduto davvero. Ma
provate a spiegare questo concetto nelle strade
di Abidjan o di Harare ... . Noi che ci prendiamo
gioco, talvolta a ragione, degli Americani parvenus,
rischiamo di mettere al loro posto un'Europa parvenue.
La seconda proposizione va oltre l'identità
e il simbolismo. C'è, naturalmente, un dibattito
legittimo riguardante l'opportunità o meno
di inserire un riferimento esplicito al Cristianesimo
nel testo effettivo dei documenti costitutivi dell'Europa.
(Che ne è dei nostri cittadini musulmani
ed ebrei? Loro non sono parte dell'Europa?). Mi
impegnerò in tale dibattito altrove in questo
saggio. Ma non fraintendete: questo libro non è
una filippica contro il rifiuto della Convenzione
di introdurre un tale riferimento esplicito; anche
se io penso che quella decisione sia stata non soltanto
un errore, ma una scelta costituzionalmente inaccettabile.
Per molti Cristiani questo è stato uno scandalo.
Ma io credo che il dibattito specifico sia stato
in gran parte fittizio, e che l'indignazione successiva
sia stata fuori luogo: forse addirittura un espediente
per coprire una verità scomoda. Immaginate
per un momento che fosse stata presa la decisione
opposta, o che nel corso della successiva Conferenza
intergovernativa il riferimento espresso al Cristianesimo
venga reintrodotto nella futura Costituzione. Una
vittoria? Una vittoria di Pirro! Dal loro punto
di vista, i Cristiani, nel gioco odioso della politica
identitaria, avrebbero ricevuto tutto ciò
che è loro dovuto, al pari di qualunque altro
concorrente in cerca di riconoscimento. Dal punto
di vista dell'Europa, non sarebbe che un'altra perfetta
espressione della riduttiva politica dell'immagine,
oggi largamente prevalente nella nostra vita politica,
in base alla quale parole altisonanti prendono il
posto della sostanza, e nella quale il patrimonio
cristiano dell'Europa è ridotto a una parola
o due in un Preambolo, mentre è felicemente
recuperata l'imperante acquiescenza dello status
quo ante.
E che cos'è questo status quo ante? È
questo il vero scandalo che dovrebbe interessare
sia i religiosi sia i laici: lo scandalo della voce
assente. È il fatto che nei dibattiti fondamentali
sull'Europa è mancata, e continua in gran
parte a mancare, un'esplicita ed articolata espressione
del pensiero e del magistero cristiano. Una voce
che può essere contestata, sicuramente. Che
può essere discussa, naturalmente. Che può
essere rigettata, certamente: dopotutto viviamo
in una democrazia. Ma la sua assenza ci impoverisce
tutti. E in questo caso, la colpa di tale assenza
non può essere attribuita interamente e neppure
principalmente ad una Convenzione asservita ad un
concetto laico di Chiesa e Stato. Si tratta in gran
parte di un silenzio auto-imposto. Nell'Europa dell'Unione,
la Cristianità è rinchiusa - si è
rinchiusa - in un ghetto.
Questo punto potrà essere illustrato in
modo efficace da un aneddoto illuminante, che resta
scolpito nella mente. Durante la Convenzione ho
invitato come ospite nel mio seminario annuale sul
futuro dell'Europa un personaggio europeo di spicco,
in carica nei ranghi più alti delle Istituzioni
europee, uno degli esponenti più brillanti
e più validi della nostra classe politica.
"Io sono - ha detto in risposta ad una mia
domanda - un francese, un cattolico e un socialista".
Alla fine di un'appassionante sessione di due ore,
sia la sua sensibilità francese sia quella
socialista erano pienamente evidenti. Ma la sua
fede cattolica? Non l'avreste mai indovinata, se
egli non l'avesse menzionata esplicitamente. Quella,
al pari ad esempio della sua vita sentimentale,
era evidentemente un suo affare privato.
Un'Europa cristiana è, allora, un'Europa
che abbandona la sua cristofobia, e che non ha paura
né imbarazzo a riconoscere il Cristianesimo
come uno degli elementi centrali nell'evolvere della
propria civiltà. Ed è un'Europa che
nel discorso pubblico sul proprio passato e sul
proprio futuro recupera la ricchezza che può
essere offerta da un confronto con una delle sue
principali tradizioni intellettuali e spirituali:
la sua eredità cristiana, particolarmente
viva nell'epoca postconciliare; e con un Pontefice
che per la profondità del suo magistero non
è secondo a nessuno nella circostanza storica
attuale.
Infine, perché saggio? Perché esplorativo?
'Saggio' perché il giurista che è
in me mi ammonisce a non ingannare la gente. Questo
non è un vero libro, né nella lunghezza
né nell'apparato scientifico. Non vorrei
essere frainteso. È il risultato di una lettura
profonda e di una lunga riflessione. Ma la forma
è colloquiale, nel significato stretto del
termine. Scrivendo ho avuto sempre in mente l'interlocutore
vivo: tu, il lettore. Non piace a tutti questo stile.
E allora, caveat lector. 'Esplorativo' perché
mi sento un po' un esploratore che approccia le
coste di una terra incognita, di cui non c'è
ancora una carta precisa. Certo, ci sono stati pionieri
prima di me; lo stesso Papa con la sua Esortazione
apostolica Ecclesia in Europa; o Giuseppe Dalla
Torre con il suo libro Europa. Quale laicità?.
Ma il litorale di questa terra è ancora da
cartografare. Questo mio saggio è un primo
passo di questo arduo compito.
New York, agosto 2003
Sta per essere approvata
la Costituzione europea.
Aderiamo all'appello di tanti gruppi che a livello
europeo chiedono che il Preambolo sia adeguato
alla verità storica, nominando direttamente,
senza rimozioni ideologiche, l'eredità
ebraica e cristiana
come parte del patrimonio di valori dell'Europa.
In Italia è il sito Stranocristiano
a portare avanti l'iniziativa
dell'invio di petizioni ai parlamentari
europei . Facciamoci sentire. Il tempo stringe.
FATTI SENTIRE!
per non dimenticare
le nostre radici