lo, musulmano
nell'Europa cristiana
di KHALED FOUAD ALLAM
da Repubblica del 23-09-03
MENTRE le preoccupazioni sul declino dell'Europa si fanno sentire
sempre più chiaramente - drastico calo
demografico e dunque forte invecchiamento
della popolazione, stagnazione economica,
paralisi politica, divisione fra i popoli
europei, scetticismo intellettuale - forse
non ci si è chiesti che cosa pensino
dell'Europa i nuovi europei, quelli che come
me vivono qui anche da oltre vent'anni, e
che vi sono approdati per ricostruire la propria
esistenza, per sperare in una vita migliore.
Educato nell'Islam, musulmano, ho lasciato
una terra che ha generato Sant'Agostino, Camus
e uno dei più grandi mistici dell'islam,
Sidi Abu Meddin. Ho imparato a vivere in un
islam di testimonianza, capace di confrontarsi
e di rimettersi in causa nei confronti dell'altro:
ed è perciò che la questione
delle radici d'Europa interroga il mio essere
europeo e musulmano. Le questioni in gioco
sono molteplici, complesse, difficili, ma
una è essenziale: quella dei fondamenti
dell'identità europea.
Nell’odierno momento storico esistono
gli europei, ma non esiste l'Europa: e il
richiamo di Giovanni Paolo II alla questione
delle radici cristiane del continente assume
un'importanza centrale,e richiede molto più
di una semplice lettura storica e culturale.
Certo, più d'uno ha contestato un tale
approccio: alcuni temono che quel richiamo
possa trasformarsi in uno strumento per infrangere
i principi della laicità, altri appellandosi
alla sfera giuridico costituzionale affermano
che il compito di una costituzione è
quello di organizzare i rapporti fra i diversi
poteri.
Tutti questi argomenti mi sono sempre apparsi
deboli: quella in discussione non è
infatti una costituzione, ma una convenzione
europea, vale a dire un patto che richiede
di riconsiderare le ragioni del nostro stare
insieme, della nostra condivisione di valori
e, infine, di chiederci come uno spazio politico
in itinere possa essere considerato anche
uno spazio di speranze. La questione posta
dal Santo Padre ci porta a riconoscere che
il pensiero politico non si riduce a un'expertise
contabile, e che è sempre necessario
interrogare la politica, purché non
la si riduca a strumento di manipolazioni
o a cinica espressione del potere; con la
domanda sulle radici cristiane, è la
politica che ci invita a interpretare, a interrogare
dei saperi per capire e costruire, a formulare
delle ipotesi. Mi sono chiesto più
volte perché il tema delle radici cristiane
susciti ancora tante polemiche mentre la parola
"mercato" suona come leitmotiv in
tutto il testo della convenzione, e come mai
ciò non abbia suscitato alcuna riflessione
sul rapporto fra mercato e costruzione europea.
Certo, a prima vista è possibile dare
un 'interpretazione esclusivista delle parole
"radici cristiane", ma si tratta
di una lettura errata perché non tiene
conto del contesto in cui la questione si
colloca: quella domanda si situa come prolungamento
di venticinque anni di attività del
papa sulle vie del pianeta. In realtà,
l’insistere di Giovanni Paolo II sulla
questione delle radici cristiane d'Europa
non deve essere separato dalle sue molteplici
iniziative di dialogo: dalla preghiera di
Assisi del 1986 al suo incontro con il rabbino
Toaff nella sinagoga di Roma, dal suo viaggio
in Israele al suo incontro nella moschea di
Damasco con il muftì di quella moschea,
e prima ancora all'incontro di CasabIanca
con la gioventù marocchina neI1985.
Tutto ciò ha definito un nuovo sguardo,
una nuova lettura del cristianesimo che la
storia dei secoli passati aveva impedito.
E la costruzione europea, alI'orizzonte del
XXI secolo, avviene parallelamente al definirsi
di questo nuovo cristianesimo che si è
emancipato dalla propria storia e che ha interiorizzato
la secolarizzazione. In effetti, che cosa
fa il Santo Padre se non rinnovare costantemente
il viaggio di san Francesco verso i sultani
del mondo, verso le altre culture e religioni?
Le polemiche sulle radici cristiane d’Europa
mettono a nudo le nostre contraddizioni: il
rifiuto di ammettere quelle radici sintomo
di un timore, di un blocco interiore nei confronti
di tutto ciò che i ragazzi europei,
oggi quarantenni, hanno imparato sui banchi
di scuola (crociate, guerre di religione,
la notte di san Bartolomeo, etc.): ma la storia
richiede distanza critica e onestà.
Non si può eludere il fatto che le
nostre moderne istanze politiche si radicano
proprio nel cristianesimo: il diritto e le
istituzioni sono frutto dell'elaborazione
complessa che questa civiltà ha prodotto,
oltre che delle lotte fratricide che l'hanno
segnata nei secoli passati. Ma c'è
anche qualcosa di più profondo, che
ha segnato in modo indelebile questo continente
le cui frontiere culturali sono molteplici
ma in cui riconosciamo un'unica essenza, che
difficilmente si riesce ad elaborare razionalmente
in modo univoco ma che è presente nel
cuore più profondo dell'essere europeo:
la passione per la libertà ovvero le
passioni democratiche e il sentirsi partecipi
di una storia comune, che ha fatto del cristianesimo
il punto focale intorno cui l'Europa si è
definita. È così che ci si commuove
dinanzi a un Cristo di Ligabue [forse voleva
dire Cimabue?] o ci si sente incantati dalle
Madonne rinascimentali, che ci si sente travolti
all'ascolto di un mottetto dì Bach
o del requiem di Mozart. Tutto ciò
non sarebbe stato possibile senza quel debito.
L'Europa è debitrice verso il cristianesimo:
perché, che lo voglia o no, esso le
ha dato forma, significato e valori. Rifiutare
tutto ciò significa, per l'Europa,
negare se stessa.
La questione delle radici cristiane d'Europa,
in un momento in cui tutti parlano di eterogeneità
delle culture e di multietnicità, suscita
altre problematiche: come accogliere l'altro
se si nega se stessi? Come saldare un patto
fra le comunità umane se l'Europa rifiuta
di riconoscersi? Le radici affondano nella
terra, dove incontrano e incontreranno altre
radici. Se le radici del cristianesimo affondano
nel mondo ebraico e in quello greco, oggi
speso incontra l’islam, domani l’Asia
e l’Africa. L’incontro è
possibile soltanto se si è consapevoli
delle proprie radici. Pensare alle radici
d’Europa significa pensare ai possibili,
a volte inediti, prolungamenti del continente.
Oggi l’America, la Cina, l’Africa
ci interrogano, ognuna con le proprie radici
fatte di dolore e di speranza, mentre in terra
d 'Europa l'inquietudine ha già preso
forma e si sta diffondendo. L'Europa, faccia
a faccia con se stessa, è ricca di
saperi ma restia ad accettarsi; ma per me
essa rappresenta l'albero d'ulivo che nel
Corano, al versetto 35 della Sura della Luce,
è "né d'oriente né
d'occidente".
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